giovedì 27 maggio 2010

LA CRISI DEL DOPOGUERRA E IL REGIME FASCISTA IN ITALIA

DI MINGAJ BELINA E BERSANETTI ANDREA

L’ITALIA E I TRATTATI DEL 1919: QUESTIONI RISOLTE E APERTE

Nel corso delle trattative di pace di Parigi, la delegazione italiana guidata dal capo del governo Vittorio Emanale Orlando abbandonò il tavolo negoziale, come strumento di pressione sugli alleati che non intendevano venire incontro alle sue richieste riguardo i territori contesi tra l’Italia e la nascente Jugoslavia. Ma il gesto non ebbe l’effetto sperato, e Orlando dovette tornare al tavolo delle trattative e accettare le scelte dei governi alleati: l’Italia ottenne la Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige, alcune isole nell’Adriatico e nell’Egeo; non ottenne la Dalmazia, mentre la questione di Trieste rimase in sospeso. La reazione in patria fu molto negativa a causa delle agitazioni dei nazionalisti, che crearono quello che gli storici chiamano”il mito della vittoria mutilata”. L’opinione pubblica era certamente influenzata dai nazionalisti, ma la ragione del disagio sociale era diversa: milioni di uomini tornati dal fronte non riuscivano facilmente a reinserirsi nella vita civile, dopo anni di vita mutilata; la disoccupazione era molto alta e l’economia ristagnava o regrediva, anche perché l’industria bellica si stava riconvertendo alla produzione civile ed erano frequenti i licenziamenti. Le tensioni sociali davano vita e scioperi, disordini nelle campagne e nelle fabbriche, e a una conflittualità sia spontanea che organizzata. Nulla di tutto questo era una realtà specificamente italiana: fenomeni di questa natura si andavano verificando un po’ in tutta Europa.

MUSSOLINI “IL POPOLO D’ITALIA” & LA NASCITA DEL PARTITO FASCISTA
In questo clima caratterizzato dal nazionalismo alimentato dal mito della vittoria mutilata e dal disagio sociale, nel marzo del 1919 Benito Mussolini – ancora direttore del “Popolo d’Italia” a Milano – fondò i Fasci di combattimento, un’organizzazione politica che anni dopo avrebbe assunto la struttura di un partito, il cui programma era un misto di elementi populisti, nazionalisti e socialisti. Alla fine dell’anno presentatosi alle elezioni politiche, il movimento non ebbe successo.
Alcuni degli aderenti, come lo stesso Mussolini, provenivano dalle fila del socialismo massimalista ed erano passati attraverso l’esperienza della guerra e dell’adesione a un nazionalismo radicale.

LE ELEZIONI DEL 1919: SOCIALISTI, LIBERALI E PARTITO POPOLARE

Le elezioni politiche del 1919 avevano visto la netta affermazione di una nuova forza politica, il Partito popolare di don Luigi Sturzo, espressione delle forze e della cultura cattolica, che aveva ottenuto oltre il 20% dei consensi. Aveva anche avuto successo il Partito socialista, con il 32% dei voti. Il nuovo Parlamento era però caratterizzato dall’assenza di una solida maggioranza, non avendo più i liberali giolittiani ottenuto consensi tali da consentire loro di guidare il Paese. Cominciava dunque a entrare in crisi lo Stato liberale, perché stava entrando in crisi la sua istituzione fondamentale, il Parlamento, diviso e incapace di esprimere una stabile maggioranza. Negli anni successivi si susseguiranno una serie di governi tutti caratterizzati da instabilità e debolezza.

IL BIENNIO 1919 – 1921

In un clima politico burrascoso, fortemente segnato da agitazioni sociali, Gabriele D’Annunzio diede il via a un’avventura politico – militare - concepita in stile “dannunziano” e quindi con forti caratteri retorici ed estetici – con l’occupazione della città di Fiume, contesa tra l’Italia e la Jugoslavia. Ne seguì per alcuni mesi un riacutizzarsi delle difficoltà internazionali dell’Italia, poi risolte da Giolitti, tornato a capo del governo, con la firma del Trattato di Rapallo che definiva il confine italo – jugoslavo.
Il biennio 1919 – 1921 fu caratterizzato da movimenti politici e sociali radicali. Nell’estate del 1920 frange estreme del sindacato e della sinistra tentarono con l’occupazione delle fabbriche del Nord di dare una spallata al sistema capitalistico italiano, ma l’operazione non ebbe successo. Ne approfittarono i fascisti, che si contraddistinsero per una lunga serie di violenze squadriste, tollerate (o addirittura ben viste) dalla polizia. Stava intanto nascendo, soprattutto in Emilia Romagna, un fascismo agrario che aveva caratteristiche simili a quello milanese e che riconosceva in Mussolini il so leader. Due gli eventi politici fondamentali:
- al Congresso di Livorno del 1921, da una scissione del Partito socialista nacque il Partito comunista italiano;
- alle elezioni politiche del 1921 Mussolini e altri fascisti furono eletti in Parlamento nelle liste dei liberali giolittiani.

IL MINISTERO FACTA, IL RE E LA "MARCIA SU ROMA"

Nel corso del 1922 le difficoltà politiche si accrebbero, anche perché il parlamento eletto risultò ancora più frammentato dei precedenti. I governi si succedettero incapaci di affrontare la crisi sociale, finchè alla fine del 1922 Mussolini organizzò una delle sue squadre fasciste.l Aveva nel frattempo abbandonato alcuni tratti del suo programma sgraditi alla borghesia, aveva espressamente accettato la monarchia e si era legato agli industriali e ai grandi agrari.
Benché il governo avesse proposto a Vittorio Emanuele III la proclamazione dello stato d’assedio,che avrebbe permesso all’esercito di intervenire, il re rifiutò, consentendo alle squadre di Mussolini di entrare a Roma e affidando a Mussolini stesso l’incarico di formare il nuovo governo.

MUSSOLINI AL GOVERNO E IL CASO MATTEOTI

Il nuovo governo era formato soltanto n parte dai fascisti e comprendeva anche personalità liberali come il filosofo Giovanni Gentile,il quale fece approvare la celebra riforma della scuola che da lui prese il nome. Aveva comunque inizio il ventennio fascista,perché il governo cominciò a condurre una politica caratterizzata dall’applicazione del programma fascista,compreso un attacco sempre più duro delle forze di sinistra e sindacali.
Le elezioni del 192 videro la vittoria di Mussolini, e la denuncia di brogli da parte di un deputato socialista,Giacomo Matteotti,portò al su assassinio .La reazione negativa dell’opinione pubblica a un fatto cosi grave creò un momento difficile per il fascismo, ma Mussolini reagì all’inizio del 1925 liquidando ogni opposizione,esautorando di fatto il Parlamento e instaurando una dittatura.

IL REGIME FASCISTA

A partire dal 1925 furono sistematicamente smantellate le istituzioni dello stato liberale, compreso lo stesso Parlamento, venne svuotato di significato lo Statuto albertino (la costituzione italiana allora in vigore)e vennero create le istituzioni di uno Stato di tipo nuovo,lo stato fascista. Il coronamento di questa politica,che non lasciò spazio ad alcuna forma di opposizione, fu la firma dei Patti lateranensi, con i quali si chiudeva il lungo conflitto tra lo stato italiano e la Santa sede.

LA POLITICA ECONOMICA E SOCIALE DEL FASCISMO

La politica economica del fascismo venne strutturata dopo il 1929,in modo da poter ridurre nel Paese l’impatto della crisi internazionale: le principali banche, proprietarie di strutture industriali in pericolo immediato di fallimento, vennero nazionalizzate e poste sotto il controllo di un ente, l’istituto per la ricostruzione aziendale IRI che ne garantisce il salvataggio. Negli anni successivi Mussolini dovette compiere la scelta dell’autarchia, perché il regime era stato colpito da sanzioni internazionali. Intanto si impegnava nella realizzazione di grandi opere pubbliche, come le ormai indifferibili bonifiche.
La politica sociale del fascismo era tutta volta a ottenere consenso e a esaltare il ruolo della famiglia. Molta attenzione venne dedicata all’educazione fascista dei giovani, con organizzazioni specifiche e un controllo totale sulla scuola.

The planned system

di Esmeralda Shehu


The Planned System


Also known as the command system or the collectivist system.
The government decides what is the made, how and where it is made, how mauch of it is made and how distribution takes places.
The resources are controlled by the government on behalf of producers and consumers, Price levls are not determined directly by the forces of supply and demand, but are fixed by the government.
The system however is not so successful when consumer desires and wants are greate, as they are throughout the world today.


mercoledì 26 maggio 2010

THE MAIN EU INSTITUTIONS

di Malik Yuliana


I The European Parliament formed of:

  • 732 members (MEPs – Members of European Parliament) elected every 5 years by the people of the Members States
  • They meet in Strasbourg
  • It is the only European institutions to be elected by European citizens. All the other institutions aren’t elected but are appointed.

Main powers:

  • legislative power: it can make laws with the Council
  • supervision of the executive
  • budgetary powers: it votes on the annual budget and oversees its implementation

II The European commission the Union’s executive body

  • 27 independent members are for each country, including a president and 2 vice-president
  • Appointed for a 5 years term, by agreement among the Member States

Main responsibility

  • Responsible for implementing the European legislation budget and programmes adopted by Parliament and the Council

III The Council of the Union (Council of Ministers)

  • Consists of the Ministers of the Member States responsible for the matters on the agenda: foreign affairs, farming, industry, etc.
  • Each country in the Union in turn holds the chair for six months
  • Decisions are prepared by the Committee of Permanent Representative of the Member States, assisted by working parties of national government officials. The Council is assisted by its General Secretariat.

IV The Court of Justice

  • Composed of one judge per Member State assisted by eight ‘advocates-general’
  • Appointed for six years by agreement among the Member States

Main functions

  • Ensures that all rules decided in the EU are followed in practice and are understood in the same way everywhere
  • Settles disputes over how the EU treaties and legislative are interpreted

V The Court of Auditors

  • Composed of one member per EU country
  • Appointed for six years by the Council after consulting the European Parliament
  • Ensures that financial management is sound
  • Audits Union revenue and expenditure to make sure it is lawful and proper

martedì 25 maggio 2010

La resistenza italiana, una politica di sterminio

di Maurizio Angelo Volpe

La Resistenza Italiana
Nel caos più totale e nel crollo delle strutture civili e militari in italia dopo l’invasione quasi totale da parte delle truppe straniere tedesche al nord e al centro, alleate al sud, vi furono diversi e molto chiari segnali di una spontanea reazione da parte di alcuni reparti dell’esercito e della popolazione contro l’occupazione nazista. Inizialmente erano movimenti con un carattere non organizzato:
• reparti dell’esercito che presero spontaneamente le armi contro i Tedeschi, l’episodio più celebre anche per la gravità di quanto accadde, riguardò l’isola di Cefalonia.
• il 10 settembre a Roma la popolazione e reparti militari italiani posti a difesa della città si scontrarono con i Tedeschi opponendo loro una resistenza senza speranza, data la disparità delle forze, ma significativa della volontà comune dei comandi militari, dei soldati e della popolazione civile.
• a Napoli alla fine di settembre la popolazione insorse spontaneamente e costrinse i Tedeschi al ritiro dalla città prima ancora dell’arrivo degli Alleati.
• nelle zone del Nord controllate dai Tedeschi, dove sul finire del 1943 si andarono organizzando le strutture della Repubblica di Salò, la risposta dei giovani alla chiamata alle armi imposta dai nazifascisti ebbe scarso esito, e fu in questi mesi che cominciarono a formarsi piuttosto le brigate partigiane. Nel Nord Italia, in realtà, già prima della caduta del fascismo si erano avuti segnali di un movimento popolare e spontaneo.
La Resistenza si trovò tra la fine del 1943 e la primavera del 1945, quando la guerra ebbe termine. Gli Alleati erano sbarcati in Sicilia già a luglio, poi a Salerno e in Puglia in settembre, e il fronte si stabilizzò a lungo prima sulla linea di Cassino, poi lungo l’Appennino tosco-emiliano.
Per oltre un anno e mezzo in Italia si combatterono due guerre in una, e questo rese molto complessa e grave la situazione in cui si trovò il paese:
• si combatté una guerra di liberazione dal nazifascismo, condotta in primo luogo dagli Alleati contro i Tedeschi, ma anche dalle forze partigiane;
• si combatté una guerra civile, perché soldati italiani erano presenti tra le file degli eserciti dell’una e dell’altra parte, essendo l’Italia divisa in un Regno d’Italia al Sud e poi al Centro-Sud, e nella Repubblica di Salò al Nord.
La Resistenza fu un movimento di volontari, strutturatosi presto intorno a figure politiche di riferimento che ne assunsero la guida, legate ai partiti che andavano nuovamente organizzandosi operanti là dove gli eserciti alleati non riuscivano ancora ad arrivare, cioè al di là delle linee nemiche, nei territori controllati dai Tedeschi.
Ebbe un carattere popolare molto marcato, perché i partigiani erano volontari, perlopiù giovani che invece di obbedire all’ordine di arruolamento imposto dal governo della Repubblica di Salò abbandonavano le loro case e salivano in montagna, oppure soldati sbandati dopo l’8 settembre che si riorganizzavano nelle brigate partigiane, comunque sempre in una logica di scelta volontaria, ma ebbe anche un carattere interclassista perché vide la partecipazione di tutte le classi sociali alla comune lotta al nazifascismo. Vi fu anche una notevole partecipazione femminile, in vari ruoli in genere non direttamente legati al combattimento.
Azioni di sabotaggio, di guerriglia, di controllo del territorio, in modo da rendere difficile l’attività militare dei Tedeschi nelle retrovie: un atto di guerra era far saltare un ponte là dove si sapeva che doveva transitare un convoglio tedesco.
Furono i partiti a imprimere un indirizzo polito alla resistenza, già all’indomani dell 8 settembre i partiti si erano riuniti, sul modello di quanto stava avvenendo in altri Paesi europei, in un Comitato di liberazione nazionale a cui aderirono, oltre ai liberali, ai socialisti e ai comunisti, anche i democristiani e gli azionisti. Alla fine del 1944 gli Alleati riconobbero il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia come la guida politica delle formazioni partigiane, e la direzione militare venne assunta dal generale Raffaele Cadorna.
Il contributo politico dato dalla Resistenza alla formazione dell’Italia contemporanea è notevole, perché l’Italia repubblicana che nascerà nel 1946 trasferirà nella sua Costituzione i valori antifascisti che avevano guidato la lotta partigiana. Anche il contributo militare non fu né secondario né marginale, e molte città al momento della fine della guerra furono in grado di liberarsi dai Tedeschi prima ancora dell’arrivo degli Alleati (Napoli, Firenze e diverse altre.)
Quella partigiana fu una guerra che coinvolse anche i civili, per l’appoggio che le popolazioni diedero in generale alla formazione della Resistenza e proprio contro i civili fu in molti casi direttamente rivolta la reazione dei Tedeschi:
• quanto accadde alle Fosse ardeatine a Roma, nella primavera del 1944, dove 335 cittadini vennero uccisi dai Tedeschi con un colpo alla nuca come rappresaglia per un attentato partigiano contro una compagnia tedesca in via Rasella, che aveva provocato la morte di 33 soldati;
• l’eccidio di Marzabotto, un paese dell’Appennino tosco-emiliano non lontano da Bologna dove i Tedeschi massacrarono quasi per intero la popolazione civile, accusata di proteggere le azioni dei partigiani: si ebbero 1836 morti, tra cui 200 bambini.


Una politica di sterminio
Tra il 1942 e la fine della guerra alcuni dei dei circa 900 campi di concentramento esistenti in Germania e nelle zone occupate vennero trasformati in campi di sterminio(il più celebre è quello di Auschwitz, in Polonia) dove vennero rinchiusi e uccisi da cinque a sei milioni di Ebrei, di cui circa la metà polacchi.
La coscienza europea e mondiale reagì con sgomento quando le prove di quanto era accaduto emersero, al momento della conquista alleata delle zone prima controllate dai nazisti:era stato compiuto un tentativo sistematico di eliminazione programmata di un intero popolo.
Tutto questo era accaduto nel cuore della civilissima Europa e con il concorso di moltissime persone, benché la popolazione civile fosse tenuta all’oscuro del destino cui andavano incontro gli Ebrei che venivano prelevati con ogni mezzo da ogni angolo dell’Europa hitleriana.
La politica razziale nazista si risolse anche contro gli Slavi dell’Europa orientale e soprattutto contro gli Zingari, di cui fu ugualmente tentato il genocidio: gli storici valutano in 400000 il numero dei Rom uccisi nel corso delle campagne hitleriane di sterminio di questa popolazione, attuate prevalentemente nei territori slavi.
Prima e dopo che entrassero in funzione i campi di sterminio, le armate hitleriane e soprattutto le SS si resero responsabili di diversi massacri nelle zone occupate, non ci si riferisce qui ad atti di guerra, ma alla deliberata volontà di sterminare popolazioni civili inermi. La Polonia soprattutto ebbe a soffrire di questi eccidi. Nel 1943 a insorgere erano stati gli Ebrei del ghetto, un quartiere che i nazisti avevano recintato con un muro del perimetro di 17 chilometri e in cui varie ondate erano state rinchiuse fino a 400000 persone, in condizioni di vita terribili. Per gli Ebrei del ghetto già sopravvivere in quelle condizioni era un atto di resistenza, e da parte di molti vi fu il tentativo di far sopravvivere quanto si poteva almeno della propria cultura.
Così quando il 19 aprile del 1943 i nazisti iniziarono le operazioni di liquidazione del ghetto, si trovarono di fronte alla resistenza degli Ebrei in armi: una resistenza disperata, perché consapevole della impossibilità del successo, ma lucida, perché volta a testimoniare l’opposizione allo sterminio.
Un mese dopo del ghetto restavano solo macerie, quasi tutti gli abitanti erano stati uccisi nei combattimenti o trasferiti nei campi di sterminio.

ONU

di Esmeralda Shehu

ONU
Organizzazione nazioni unite


E’ un organizzazione internazionale che è stata costituita nel 1948, in sostituzione della precedente Società delle Nazioni, con lo scopo di garantire la pace e la sicurezza tra le Nazioni e di promuovere la cooperazione internazionale e il rispetto dei diritti umani.
L’Onu, a cui aderiscono quasi tutti i paesi del mondo, può adottare misure preventive o anche coercitive per mantenere e stabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Gli organi principali dell’ONU sono:

• L’assemblea generale, formata dai rappresentanti degli stati membri, che è l’organo deliberativo in quanto può adottare a maggioranza delle raccomandazioni non vincolanti per gli Stati membri;
• Il consiglio di sicurezza, formato dai rappresentanti di quindici Stati membri che può adottare a maggioranza delle risoluzioni vincolanti per gli Stati membri implicati anche, quando necessario l’adozione di misure coercitive;
• Il segretario generale, nominato per cinque anni dall’assemblea generale su proposta su proposta del consiglio di sicurezza, che ha la rappresentanza delle Nazioni Unite nei confronti dei singoli Stati e delle altre organizzazioni internazionale e svolge una funzione di mediatore nelle controversie internazionali;
• La corte internazionale di giustizia, formata da quindici giudici nominati per nove anni dall’assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza, che è incaricata della risoluzione delle controversie giuridiche tra gli Stati che accettino di sottoporsi volontariamente alla sua giurisdizione,
• Il Consiglio economico, costituito da cinquantaquattro membri nominati per tre anni dagli Stati membri, con funzioni in materia economico e sociale.

Nell’ambito dell’ Onu operano diversi organismi o agenzie con compiti specifici in alcuni settori riguardanti la cooperazione internazionale.

Italia 1896-1914

di Esmeralda Shehu

L’Italia 1896-1914

La crisi di fine secolo e l’assassino di Re Umberto I
Dopo la caduta del governo Crispi nel 1896, i successivi governi diminuirono l’intensità del conflitto politico e doganale con la Francia e si trovarono a dover affrontare il disagio sociale del Paese. Sidney Sonnino propose di ripristinare la prassi prevista per lo Statuto Albertino, per cui il governo è responsabile di fronte al re e non al Parlamento. Nel 1898 si ebbero decine di morti in un eccidio a Milano nel corso di una manifestazione pacifica. Il generale Pelloux, chiamato dal re al governo, propose in Parlamento alcune leggi eccezionali, sostenute dallo stesso re; Giolitti è tra gli oppositori e l’opposizione parlamentare vince una dura battaglia politica. Nel 1900 l’anarchico Bresci uccide a Monza il re Umberto I per vendicare i morti di Milano del 1898.

La svolta liberale e l’età giolittiana
Il nuovo re Vittorio Emanuele III diede l’incarico al nuovo liberale Zanardelli di formare il nuovo governo, di cui Giolitti divenne ministro dell’interno. Aveva così inizio l’età giolittiana, durata fin quasi alla guerra mondiale. Giolitti propose al socialista riformista Filippo Turati di entrare nell’esecutivo, pur offendo la propria collaborazione sul piano parlamentare. Giolitti modificò a fondo l’impostazione dell’azione del governo, mantenendo mantenendolo estraneo ai conflitti di lavoro e non facendo intervenire la polizia neppure in caso di gravi scioperi, come quello generale del 1904.
Giolitti modificò a fondo anche la politica del governo nei confronti dei cattolici, cercandone l’alleanza, ottenuta co il patto Gentiloni del 1913 siglati ai fini elettorali. Nello stesso anno venne votata una legge che istituiva in Italia il suffragio universale maschile.

La politica economica
I governi di Giolitti si caratterizzarono per il rigore dell’amministrazione pubblica, anche se non mancano le accuse di clientelismo. La situazione economica internazionale era in rapida e positiva evoluzione e di questa corrente favorevole l’Italia potè approfittare per una di una ragioni: il clima di fiducia nato grazie alla stabilità delle istituzioni garantite dal controllo giolittiano del parlamento favorì la ripresa economica interna; in agricoltura si assistè al miglioramento dei conti aziendali, pur in assenza di una riforma agraria, e il sistema industriale crebbe con la nascita della grande industria nel nord . Un altro elemento favorevole fu la forte emigrazione verso le Americhe, che consentì di diminuire la disoccupazione e fornì attraverso le rimesse degli emigranti, un consistente aiuto all’economia italiana.

La politica estera
Giolitti curò i rapporti con la Francia, che divennero buoni, anche se mantenne la tradizionale alleanza con l’impero austro-ungarico e la Germania. Anche per venire contro il nazionalismo, in forte crescita in Italia come del resto in tutta Europa, attaccò l’impero ottomano e occupò la Libia, scontandosi on una decisa guerriglia da parte delle popolazioni locali. La guerra ebbe termine nel 1913 con la vittoria degli italiani.

Italia 1896-1914

L’Italia 1896-1914

La crisi di fine secolo e l’assassino di Re Umberto I
Dopo la caduta del governo Crispi nel 1896, i successivi governi diminuirono l’intensità del conflitto politico e doganale con la Francia e si trovarono a dover affrontare il disagio sociale del Paese. Sidney Sonnino propose di ripristinare la prassi prevista per lo Statuto Albertino, per cui il governo è responsabile di fronte al re e non al Parlamento. Nel 1898 si ebbero decine di morti in un eccidio a Milano nel corso di una manifestazione pacifica. Il generale Pelloux, chiamato dal re al governo, propose in Parlamento alcune leggi eccezionali, sostenute dallo stesso re; Giolitti è tra gli oppositori e l’opposizione parlamentare vince una dura battaglia politica. Nel 1900 l’anarchico Bresci uccide a Monza il re Umberto I per vendicare i morti di Milano del 1898.

La svolta liberale e l’età giolittiana
Il nuovo re Vittorio Emanuele III diede l’incarico al nuovo liberale Zanardelli di formare il nuovo governo, di cui Giolitti divenne ministro dell’interno. Aveva così inizio l’età giolittiana, durata fin quasi alla guerra mondiale. Giolitti propose al socialista riformista Filippo Turati di entrare nell’esecutivo, pur offendo la propria collaborazione sul piano parlamentare. Giolitti modificò a fondo l’impostazione dell’azione del governo, mantenendo mantenendolo estraneo ai conflitti di lavoro e non facendo intervenire la polizia neppure in caso di gravi scioperi, come quello generale del 1904.
Giolitti modificò a fondo anche la politica del governo nei confronti dei cattolici, cercandone l’alleanza, ottenuta co il patto Gentiloni del 1913 siglati ai fini elettorali. Nello stesso anno venne votata una legge che istituiva in Italia il suffragio universale maschile.

La politica economica
I governi di Giolitti si caratterizzarono per il rigore dell’amministrazione pubblica, anche se non mancano le accuse di clientelismo. La situazione economica internazionale era in rapida e positiva evoluzione e di questa corrente favorevole l’Italia potè approfittare per una di una ragioni: il clima di fiducia nato grazie alla stabilità delle istituzioni garantite dal controllo giolittiano del parlamento favorì la ripresa economica interna; in agricoltura si assistè al miglioramento dei conti aziendali, pur in assenza di una riforma agraria, e il sistema industriale crebbe con la nascita della grande industria nel nord . Un altro elemento favorevole fu la forte emigrazione verso le Americhe, che consentì di diminuire la disoccupazione e fornì attraverso le rimesse degli emigranti, un consistente aiuto all’economia italiana.

La politica estera
Giolitti curò i rapporti con la Francia, che divennero buoni, anche se mantenne la tradizionale alleanza con l’impero austro-ungarico e la Germania. Anche per venire contro il nazionalismo, in forte crescita in Italia come del resto in tutta Europa, attaccò l’impero ottomano e occupò la Libia, scontandosi on una decisa guerriglia da parte delle popolazioni locali. La guerra ebbe termine nel 1913 con la vittoria degli italiani.

Esmeralda Shehu

Il Sudafrica nel XX secolo e la lotta contro l'apartheid.

di Simone Bagnato


Nel 1910 il Sudafrica acquisì lo status di dominion britannico a seguito di crisi interne molto gravi: • tra la fine dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo si era combattuta la guerra anglo-boera, che aveva contrapposto l’antica popolazione di origine olandese ai più recenti immigrati inglesi; • le tensioni tra la popolazione inglese, le popolazioni locali nere di diversa etnia e le popolazioni di origine indiana e di altre zone dell’Asia, si andavano aggravando, convincendo gli stessi boeri a integrarsi con la classe dirigente inglese fino a formare un’unica realtà sociale e politica. Di conseguenza venero applicate drastiche misure che limitarono fortemente i diritti di cittadinanza dei Neri, che rappresentavano circa il 60% della popolazione, e degli immigrati asiatici , a favore della popolazione di origine europea, pari a circa il 20% della popolazione totale. Stava nascendo la cosiddetta politica dell’apartheid, cioè della netta separazione nell’ambito dello stesso Stato tra le componenti di origine europea, africana e asiatica. Nel secondo dopoguerra questa politica venne ulteriormente inasprita facendo del Sudafrica uno Stato con istituzioni liberal-democratiche e una legislazione interna razzista.  Istituzione dell’ apratheid: Il termine "apartheid" è stato usato in senso politico per la prima volta nel 1917 dal primo ministro sudafricano Jan Smuts, ma, solo dopo la vittoria del National Party alle elezioni del 1948, l'idea venne trasformata in un sistema legislativo compiuto. I principali ideologi dell'apartheid furono i primi ministri Daniel François Malan, Johannes Gerhardus Strijdom e Hendrik Frensch Verwoerd (vero e proprio "architetto dell'apartheid"). L'apartheid aveva due manifestazioni: • la separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi (per esempio rispetto all'uso di mezzi e strutture pubbliche); • l'istituzione dei bantustan, i territori semi-indipendenti in cui molti neri furono costretti a trasferirsi. In Sudafrica, mentre i neri e i meticci costituivano l'80% circa della popolazione, i bianchi si dividevano in colonie di origine inglese ed afrikaner. Gli afrikaner, che costituivano la maggioranza della popolazione bianca di origine olandese, erano da sempre favorevoli ad una politica razzista; mentre i sudafricani di origine inglese, malgrado il sostanziale appoggio dell'apartheid, erano più concilianti nei confronti dei connazionali neri. Nel 1931 Londra riconobbe di fatto l’indipendenza del Sudafrica, nell’ambito del Commonwealth, e la politica interna si spostò in senso sempre più marcatamente razzista. Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di intellettuali afrikaner influenzati dal nazismo completò la teorizzazione del progetto dell'apartheid. La filosofia dell'apartheid affermava di voler dare ai vari gruppi razziali la possibilità di condurre il proprio sviluppo sociale in armonia con le proprie tradizioni. Più tardi venne creata un'organizzazione segreta per promuovere gli interessi degli afrikaner. L'apartheid prese definitivamente forma nel 1948. Le principali leggi che costituivano il sistema erano:• proibizione dei matrimoni interrazziali; • legge secondo la quale avere rapporti sessuali con una persona di razza diversa diventava un reato penalmente perseguibile; • legge che imponeva ai cittadini di essere registrati in base alle loro caratteristiche razziali (Population Registration Act); • legge che permetteva di bandire ogni opposizione che venisse etichettata dal governo come "comunista" (usata per mettere fuorilegge nel 1960 l'African National Congress (ANC), la più grande organizzazione politica che includeva i neri, di stampo socialista, ma non comunista); • legge che proibiva alle persone di diverse razze di entrare in alcune aree urbane; • legge che proibiva a persone di colore diverso di utilizzare le stesse strutture pubbliche (fontane, sale d'attesa, marciapiedi, etc.); • legge che prevedeva una serie di provvedimenti tutti tesi a rendere più difficile per i neri l'accesso all'istruzione; • legge che sanciva la discriminazione razziale in ambito lavorativo; • legge che istituiva i bantustan, ghetti per la popolazione nera, nominalmente indipendenti ma in realtà sottoposti al controllo del governo sudafricano; • legge che privava della cittadinanza sudafricana e dei diritti a essa connessi gli abitanti dei bantustan. Nel 1956 la politica di apartheid fu estesa a tutti i cittadini di colore compresi gli asiatici. Negli anni sessanta, 3,5 milioni di neri, chiamati bantù, furono sfrattati con la forza dalle loro case e reinsediati nelle "homeland del sud". I neri furono privati di ogni diritto politico e civile. Potevano frequentare solo l'istituzione di scuole agricole e commerciali speciali. I negozi dovevano servire tutti i clienti bianchi prima dei neri. Dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone bianche, pena l'arresto.  Lotta contro l’apartheid:
In Sudafrica l’inasprimento della legislazione razzista fu fortemente osteggiato da un movimento politico che raccolse consensi sempre maggiori tra le popolazioni discriminate, l’African National Congress. Esso fu istituito all’inizio del Novecento, ma i partito assunse il carattere di movimento di massa a partire dal secondo dopoguerra, quando ne divenne leader Nelson Mandela che finì con l’assumewre posizioni non violente, sulla base del modello ghandiano, dando vita a grandi manifestazioni, ad atti di disobbedienza civile e di resistenza passiva. La reazione del governo fu durissima. A Sharpeville nel 1960, a Soweto nel 1976 e nuovamente nel 1986, si ebbero vere e proprie stragi. Il Sudafrica dovette subire la dura opposizione dell’opinione pubblica internazionale, che si espresse anche con condanne da parte dell’organizzazione dell’unità africana e dell’ONU, e con pressioni inglesi così forti che il governo africano decise l’uscita dal Commonwealth nel 1961 e la nascita della Repubblica Sudafricana.  Fine dell’apartheid Tra il 1989 e il 1991, con la scarcerazione di Mandela si crearono le condizioni per l’abolizione della legislazione dell’apartheid. In un clima di pacificazione nazionale e di collaborazione, sia pur difficile, tra tutte le forze politiche, Mandela venne poi eletto presidente della Repubblica nel 1994.

giovedì 20 maggio 2010

NEW PATTERNS OF WORK IN THE LABOUR MARKET


di De Piano Raffaele

Flexible work hours
Part-time work, flexitime and job-sharing have grown in importance in these last decades. Job sharing means that two or more people share a full-time position. It gives people the possibility of working part-time or of working for one company from Monday to Wednesday and then for another from Thursday to Friday.

Flexible contracts
Fixed-term contracts are often agreed between employers and employee. The employer has greater control over labour costs and the employee may be motivated by the prospect of a renewable contract.
Temporary work. “Temps” are people who are employed by agencies which send them to different offices for short periods of time to do the job of someone who is ill or on holiday.
Portfolio working means working simultaneously for different employers. Portfolio workers perform a similar role to freelancers with the exception that they complete several different types of work at the same time.

Flexible workbase
Hot desking, also called “location independent working”, is where employees work partly from home and partly at a central office or some other temporary workplace. Workers do not have their own desks, but are allocated work space according to their needs, keeping their personal belongings in lockers or filing cabinets when not in the office.
Teleworking, also called “telecommuting” or “cybercommuting” refers to the practice of working from home using information technology (IT). It is becoming more widespread. Many companies have already discovered the benefits of allowing staff to carry out their daily duties from the comfort of their own homes.
Video and telephone conferencing is the practice of holding a “virtual” meeting or conference. Using modern information technology techniques, people are able to take part in discussion and communicate “face to face” even when they are thousands of kilometres apart. The benefits include a cut in travel expenses and a faster pace of work.

LA CRISI DI WEIMAR E IL NAZISMO IN GERMANIA

di Malik Yuliana

1. La Repubblica di Weimar
La fine della I guerra mondiale venne determinata sul fronte occidentale dal crollo, politico prima che militare,della Germania: una rivoluzione gestita da forze borghesi e socialiste depose il Kaiser e instaurò la repubblica. Tra il novembre del 1918 e il governo del 1919 la situazione interna rimase molto confusa e instabile, tanto che la prima settimana del nuovo anno è passata alla storia come la “settimana di sangue”, perché un tentativo insurrezione da parte di forze comuniste venne represso con l’aiuto dell’esercito.
Con il tempo si consolida la cosiddetta Repubblica di Weimar, che si diede una Costituzione liberl-democratica ma rimase caratterizzata per tutta la sua durata (fino all’ascesa al potere di Hitler) da una forte instabilità politica: il Parlamento era frammentato in molti partiti che non riuscivano a trovare l’accordo necessario a formare una maggioranza. L’instabilità era dovuta anche a ragioni economiche , perché l’enorme debito pubblico e la situazione del dopoguerra portarono a un’iperinflazione che polverizzò il valore del marco. La crisi economica e sociale nei primi anni Trenta divenne gravissima.

2. Hitler e il nazismo dalle origini
Il Partito nazista era uno dei tanti gruppi che formavano la galassia dell’estrema destra militarista e nazionalista. Hitler, che come milioni di Tedeschi aveva passato gli ultimi anni nell’esercito e non aveva un’occupazione civile, divenne presto il leader di questo movimento, sia per le sue capacità oratorie sia per le sue doti organizzative. Era da tempo un convinto assertore delle teorie razziste, e sin dall’inizio diede al movimento nazista un preciso indirizzo in questa direzione. Nel 1923,forte dell’appoggio di Hindenburg – uno dei due generali che avevano guidato l’esercito tedesco al tempo della guerra – tentò con i suoi uomini un colpo di Stato a Monaco, ma fallì e dovette subire una breve detenzione.

3. Mein Kampf, il programma politico hitleriano
In carcere Hitler mise per iscritto le sue idee in un libro dal titolo Mein Kampf, cioè La mia battaglia, in cui esprimeva una visione razziale della storia, interpretata come un conflitto millenario tra le razze umane. Hitler parlava anche della necessità di riunificare tutti i territori abitati da Tedeschi e di aprire uno “spazio vitale” di espansione per il popolo tedesco verso est, sottomettendo i popoli slavi.

4. Da Monaco a Berlino
Tra il 1924 e il 1925 la situazione della Repubblica di Weimar cominciò a stabilizzare e a normalizzarsi, anche in seguito ad accordi internazionali con la Francia e ad aiuti e investimenti statunitensi. Ma il crollo di Wall Street del 1929 ebbe conseguenze molto gravi per la Germania, perché con il ritiro di gran parte dei capitali statunitensi la crisi economica divenne gravissima, al punto che la disoccupazione raggiunse livelli altissimi. Le piazze vennero sempre di più controllate dagli uomini di Hitler, che si erano dati un’organizzazione paramilitare e nelle elezioni che si susseguirono, nel contesto di una insanabile instabilità, i nazisti ottennero affermazioni sempre più nette.

5. Il nazismo al potere
Vinte le elezioni, hitler ricevette la nomina a cancelliere all’inizio del 1933 e divenne poi capo dello Stato l’anno successivo. Tra il 1933 e il 1934 la Germania venne sottoposta a un regime totalitario: i partiti sciolti e dichiarati illegali, tutti i poteri concentrati nelle mani del governo e di Hitler personalmente, l’economia e la società poste rapidamente sotto stretto controllo. Uno dei passaggi chiave per il raggiungimento di questi obiettivi fu l’incendio del Parlamento, il Reichstag, avvenuto poco dopo la salita al poter di Hitler e di cui vennero accusati i comunisti, contro i quali si scatenò una vera e propria caccia all’uomo. Nel 1934 Hitler fece liquidare da reparti speciali a lui fedeli(SS) i capi delle SA che mantenevano posizioni politiche non del tutto allineate con le sue, venendo così incontro anche a pressioni degli ambienti industriali.

mercoledì 19 maggio 2010

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

di De Piano Raffaele

Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia, senza peraltro dichiarargli guerra. Quasi contemporaneamente l’Unione Sovietica penetrava in territorio polacco da est.
L’attacco alla Polonia da parte di Germania e Unione Sovietica era stato concordato in un patto segreto siglato poco prima; si trattava, precisamente, delle clausole segrete del Patto Molotov-Ribbentrop, che destò scalpore per il fatto che Germania e Unione Sovietica erano in contrasto per motivi politici. D’altra parte, Hitler in caso di attacco anglo-francese doveva evitare di impegnare il proprio esercito su due fronti, mentre Stalin riteneva di non poter affrontare subito una guerra con la Germania.

A causa dell’evidente impreparazione del suo esercito, al momento dell’attacco alla Polonia Mussolini proclamò la “non belligeranza”. Regno Unito e Francia dichiararono invece guerra alla Germania subito dopo l’evento. Al confine orientale i Francesi avevano da tempo predisposto una linea fortificata di difesa considerata insuperabile, la cosiddetta linea Maginot, ma non ritennero d’altra parte di dover attaccare per primi e così tra il settembre del 1939 e il maggio del 1940 non si combatté, avendo Hitler preferito completare la propria preparazione militare con l’occupazione di Danimarca e Norvegia. È il periodo della cosiddetta drôle de guerre.

Quando Hitler ritenne la Germania pronta alla guerra con le potenze occidentali, puntò ad una manovra di accerchiamento: invase Belgio, Olanda e Lussemburgo violandone la neutralità e puntò verso la costa dell’Atlantico, in modo da bloccare le linee di comunicazione tra Francia e Regno Unito via mare. La manovra ebbe pieno successo: l’unica possibilità che rimase agli anglo-francesi fu il trasfe-
rimento in Inghilterra di centinaia di migliaia di soldati, o
perazione compiuta in 10 giorni a Dunkerque. Il 14 giugno 1940 l’esercito tedesco entrava a Parigi e il maresciallo Pétain, che nel frattempo aveva assunto il potere, firmò l’armistizio il 22 giugno 1940. Nel frattempo la Francia era stata attaccata sulle Alpi dall’Italia, ma l’attacco fallì. Il Paese venne riorganizzato in questo modo:
- tutto il Nord e parte del Centro del Paese venne posto sotto diretta amministrazione tedesca;
- la Francia centro-meridionale rimase formalmente indipendente, sotto il governo collaborazionista di Pétain, con sede a Vichy.

La guerra però non era affatto finita sul fronte occidentale, perché l’Inghilterra non era ancora stata sconfitta. Il governo era passato dalle mani di Chamberlain, responsabile della fallimentare politica di cedimenti di fronte alla Germania hitleriana, a Winston Churchill. Intanto da Londra il generale francese Charles De Gaulle lanciò l’”appello del 18 giugno” per chiamare i suoi concittadini alla lotta contro il nazismo.
Hitler considerava assurda la posizione inglese in quanto riteneva che, essendo Germania e Regno Unito abitati da popolazioni ariane, l’interesse razziale al dominio dell’Europa fosse comune; tuttavia per realizzare i suoi piani non poteva che attaccare, e così fece: tra agosto e ottobre del 1940 si combatté la “battaglia d’Inghilterra”, combattuta esclusivamente dalle due aviazioni. La superiorità inglese risultò netta e fu questa la prima battaglia persa dai Tedeschi nel corso della guerra; i successivi bombardamenti aerei di carattere terroristico sulle città della Gran Bretagna non ebbero l’effetto di piegare il Paese.

La posizione dell’Italia era intanto di forte imbarazzo, visto il fallimento dell’attacco alla Francia, nonostante questo Paese fosse ormai al crollo. Mussolini, nonostante l’evidente impreparazione militare dell’Italia, non voleva condurre una guerra nella logica dei Tedeschi. Questo espose però il Paese al confronto con la marina militare britannica: si andò così incontro ad una serie di insuccessi, che resero ancora più imbarazzante il rapporto con Hitler. Così, quando nel settembre del 1940 attaccò la Grecia non riuscendo però a superare la resistenza ellenica, l’Italia fu costretta a chiedere l’aiuto della Germania, che nell’aprile del 1941, dopo aver schiacciato Jugoslavia e Romania, occupò in due settimane tutta la Grecia, comprese molte isole dell’Egeo.
La posizione dell’Italia diveniva quindi di sempre maggiore dipendenza dai Tedeschi, anche perché la marina militare inglese si stava dimostrando in grado di colpire il Paese in modo grave: nel novembre del 1940 la flotta italiana di stanza a Taranto fu distrutta dagli Inglesi.

Un punto cruciale per la guerra era il Canale di Suez, la porta del Mar Rosso e delle comunicazioni con l’India. Parallelamente all’intervento nei Balcani e in Grecia, Hitler decise quindi di intervenire a fianco dell’Italia, che in quella zona aveva la Libia come propria colonia, nella guerra in Africa, con l’obiettivo di bloccare il Canale di Suez e realizzare le condizioni per il controllo del Mediterraneo.
Nel febbraio del 1941 l’Afrikakorps tedesco venne inviato in Libia a sostegno delle truppe italiane attaccate dagli Inglesi: il confronto vide gli Italiani di Graziani e i Tedeschi di Rommel da una parte, gli Inglesi di Montgomery e i Francesi di De Gaulle dall’altra. La battaglia di El Alamein decretò la sconfitta di Germania e Italia: l’Africa settentrionale restava in mano a Inglesi e Francesi.

La guerra fin qui condotta era quella voluta da Hitler: la Germania aveva conquistato immensi spazi ad est, e ciò gli consentiva di poter sfruttare importanti risorse per una guerra di lungo periodo, quale quella contro Inghilterra e Unione Sovietica. Hitler ritenne di poter affrontare nel 1941 un conflitto contro quest’ultima, oltre che per questo motivo, anche perché riteneva gli Slavi un popolo inferiore, incapace di sostenere il confronto con un esercito ariano.

I problemi principali della guerra con l’Unione Sovietica erano l’immensità del territorio e le condizioni climatiche del Paese. Hitler decise quindi di attaccare all’inizio dell’estate, il 22 giugno 1941, su tre fronti:
- verso nord, dove le armate hitleriane conquistarono rapidamente le Repubbliche baltiche e posero sotto assedio Leningrado;
- verso le regioni centrali, arrivando quasi a raggiungere Mosca;
- verso sud, in direzione di Kiev, che venne conquistata insieme a molti territori ricchi di pozzi petroliferi e altre città industriali.
I Tedeschi furono però troppo poco rapidi. Al sopraggiungere dell’inverno Mosca non era ancora caduta, perciò dovettero subire la controffensiva russa.

Hitler riuscì comunque a lanciare una nuova offensiva verso sud, dove conquistò la Crimea e i territori a est del Volga, fino al Caucaso. Si stava però combattendo una guerra opposta alla guerra-lampo prevista da Hitler, e ciò significava due cose:
- che la resistenza di questi popoli ritenuti inferiori era di gran lunga superiore a quello che Hitler aveva preventivato: l’Unione Sovietica stava sopportando sofferenze immense senza cedere e i Tedeschi non trovarono alcuna forma di collaborazione nella popolazione;
- che la Germania si trovava a combattere su vari fronti (tra il 1941 e il 1942 in Africa e in Russia), cosa che Hitler aveva cercato di evitare.
All’avanzare dell’esercito tedesco i Russi avevano portato al di là degli Urali molti macchinari industriali, cosicché il primo aveva trovato pochissimo di cui impadronirsi.

La battaglia decisiva si combatte lungo il Volga, intorno alla città di Stalingrado. Ebbe inizio nell’estate del 1942 e terminò nel febbraio del 1943. La decisione dei Tedeschi di lanciare un’offensiva in Russia in pieno inverno si rivelò fatale: i Russi riuscirono a rifornire il fronte con uomini e munizioni, in condizioni estremamente rigide, finché l’esercito tedesco si trovò quasi accerchiato, rischiando di non poter essere rifornito. Il generale Von Paulus, che comandava l’armata tedesca, chiese ad Hitler l’autorizzazione a ripiegare, ma egli la negò, ritenendo indegno il ritiro di un’armata ariana di fronte ad una popolazione inferiore. La conseguenza fu la capitolazione di Von Paulus e del suo esercito, avvenuta il 2 febbraio 1943.

Il 14 agosto 1941, dopo che, a causa dell’opinione pubblica sfavorevole, gli Stati Uniti non avevano potuto far altro che finanziare l’Inghilterra senza prendere parte al conflitto, Churchill e Roosevelt sottoscrissero la Carta atlantica, in cui si dichiarava la determinazione a difendere fino alla vittoria il mondo libero e si enunciavano alcuni principi che avrebbero dovuto regolare i rapporti internazionali una volta sconfitto il nazifascismo: autodeterminazione dei popoli, rinuncia ad acquisizioni territoriali mediante conquista militare, libertà dei mari, ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Questi punti chiarirono la linea di comportamento delle potenze alleate, richiamando in alcuni passaggi i 14 punti wilsoniani della Prima guerra mondiale.

La mattina del 7 dicembre 1941 le navi alla fonda del porto statunitense di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, vennero attaccate da aerei militari giapponesi, senza peraltro che vi fosse stata alcuna dichiarazione di guerra. I Giapponesi stavano conducendo una guerra imperialistica, in nome dei valori e dei popoli asiatici contrapposti a quelli occidentali. Quello che rapidamente nacque fu un impero giapponese esteso dalla Birmania all’Indonesia, l’Indocina, le Filippine fino alle ultime isole di fronte all’Australia, che venne direttamente minacciata.
Pochi giorni dopo Pearl Harbor, anche Italia e Germania dichiararono guerra agli Stati Uniti.

La guerra che il Giappone scatenò con l’attacco a Pearl Harbor ebbe due caratteri:
- fu una guerra imperialista;
- fu una guerra antioccidentale a anticolonialista, che mirava a liberare l’Asia e il Pacifico dalla presenza degli Europei e degli Americani.
Al momento dell’entrata in guerra il capo del governo giapponese era il generale Tojo Hideki, che guiderà il paese fino alle dure sconfitte del 1944.

Nel settembre del 1940 il Giappone aveva firmato con la Germania e l’Italia il cosiddetto patto tripartito, un’alleanza politico-militare che durò per tutto il conflitto. Tuttavia, la guerra che il Giappone condusse in Asia non era legata a quella che si svolgeva in Europa: nel momento in cui l’Unione Sovietica subiva la tremenda pressione delle truppe naziste, il Giappone decise di approfittarne per attaccare le colonie occidentali a sud e realizzare così un proprio impero, piuttosto che attaccare l’Unione Sovietica nei territori a nord della Cina contribuendo alla sua caduta.
Gli Stati Uniti, invece, agirono come una potenza planetaria: combatterono infatti nel Pacifico, insieme con alcuni alleati, contro il Giappone e si impegnarono altrettanto a fondo sul teatro di guerra europeo insieme agli Anglo-Francesi, determinando così la futura posizione di superpotenza presente con le proprie forze su tutti i teatri.

La zona in cui l’impegno statunitense fu maggiore fu il Pacifico, dove l’avanzata dei Giapponesi venne contenuta sin dall’estate del 1942. Il primo obiettivo era impedire che cadesse l’Australia: in effetti il governo nipponico abbandonò i piani d’attacco all’isola dopo la sconfitta nella battaglia navale del giugno del 1942 nei pressi delle isole Midway.
Si combatté isola per isola, mese dopo mese, con una continua avanzata americana e una strenua e determinatissima resistenza da parte giapponese. I Giapponesi vennero sconfitti dagli Americani nella battaglia per il controllo dell’isola di Guadalcanal, nell’arcipelago delle Salomone; alla fine del 1943 le forze navali dell’ammiraglio Nimitz attaccarono le isole Marianne, nel Pacifico centrale, e avanzarono occupando isola dopo isola.

I Tedeschi e gli Italiani non riuscirono a contenere l’avanzata americana nel Nord Africa: gli Statunitensi, dopo essere sbarcati in Marocco e Tunisia, occuparono anche la Libia.
Mentre l’aviazione anglo-americana bombardava le principali città italiane, con l’intento non solo di distruggere le installazioni militari, ma di fiaccare il morale della popolazione e indurre alla capitolazione, gli Alleati sbarcarono prima a Pantelleria, poi in Sicilia.
Le forze che occuparono l’isola erano inglesi, americane e canadesi; sbarcarono nella parte sud-orientale incontrando scarsa resistenza, quasi soltanto da parte delle truppe tedesche presenti. Il tutto avvenne tra i primi di luglio e la metà di agosto del 1943. La popolazione siciliana, che non era mai stata fortemente legata al fascismo, accolse favorevolmente le truppe alleate.
A questa data però il fascismo non poteva più contare in Italia sull’appoggio delle masse: i bombardamenti che distruggevano le città, l’evidente impreparazione dell’esercito, la situazione drammatica a cui il regime aveva portato il Paese avevano già prodotto nella primavera precedente i primi scioperi nelle zone industriali del Nord.

Il Gran Consiglio del fascismo si riunì a Roma nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, proponendo il reintegro del re nelle sue prerogative costituzionali. La mattina successiva Mussolini venne ricevuto da Vittorio Emanuele III, che lo destituì dall’incarico di capo del governo e lo fece arrestare. Nominò poi al suo posto il maresciallo Badoglio.

Il re, con la decisione di eliminare dalla scena politica Mussolini, aveva come obiettivo quello di garantire la continuità dell’istituto monarchico.
Mentre già cercava una via per trattare con gli Anglo-Americani, Badoglio tuttavia dichiarò che la guerra continuava, perché temeva moltissimo la reazione tedesca alla caduta di Mussolini.
L’8 settembre 1943 il Paese venne occupato dai Tedeschi: gli Americani avevano rivelato poche ore prima che il 3 settembre l’Italia aveva sottoscritto l’armistizio in un paese della Sicilia orientale, Cassibile. I Tedeschi non ebbero alcuna difficoltà a prendere possesso dell’intera penisola, a parte la Sicilia occupata dagli Alleati. Un numero enorme di soldati italiani trovarono la morte per mano tedesca (alcuni fatti gravissimi avvennero in Grecia, a Cefalonia) o vennero deportati in Germania.

La mattina del 9 settembre il re e il governo fuggirono da Roma senza prendere alcuna misura per la sua difesa, rifugiandosi prima a Pescara, poi a Brindisi, ponendosi sotto protezione Alleata (gli Alleati erano sbarcati lì da poco). I Tedeschi immediatamente occuparono Roma, dove incontrarono non solo una ferma reazione spontanea da parte di alcuni reparti italiani, ma anche l’ostilità durissima della popolazione. Ogni opposizione venne però travolta. La resistenza italiana contro il nazismo si manifestò in modo palese; e fu resistenza spontanea e popolare, nella totale assenza del governo e della monarchia.
L’Italia era adesso occupata da un esercito di cui fino al giorno prima era alleata, mentre il suo governo era sotto la protezione di un altro esercito che fino al giorno prima era nemico.
Il 12 settembre i Tedeschi liberarono Mussolini che era stato portato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, e nei giorni successivi si ricostituì un governo fascista, con sede a Salò, sul lago di Garda: nacque così la Repubblica Sociale Italiana, o Repubblica di Salò. A questo punto, la guerra in Italia assunse due volti diversi:
- fu una guerra combattuta da Italiani presenti sui due fronti: il Regno d’Italia appoggiò gli Alleati, mentre la Repubblica di Salò appoggiò i Tedeschi;
- fu una guerra civile, perché contrappose Italiani a Italiani.

Nel settembre del 1943 gli Alleati sbarcarono nel golfo di Salerno, mentre Napoli insorgeva contro i nazifascisti liberandosi prima del loro arrivo. Il fronte rimase fermo per mesi a sud di Roma, e i combattimenti si concentrarono nella zona di Cassino. La liberazione di Roma avvenne il 4 giugno 1944, ma la guerra continuò nel Nord lungo quella che i Tedeschi chiamarono la “linea gotica” fino alla primavera del 1945.
La guerra ebbe poi termine in Italia intorno al 25 aprile 1945. Mentre cercava di fuggire in Germania, Mussolini venne arrestato dai partigiani e fucilato.

Il 6 giugno 1944 gli Americani sbarcarono in Normandia. Già ad agosto Parigi venne liberata. In quelle stesse settimane, i Sovietici attaccarono nella direzione della Polonia, avanzando di settimana in settimana. Nell’aprile del 1945 la Germania era ormai quasi interamente occupata e distrutta, ma si combatteva ancora strada per strada nelle città.
Hitler passò i suoi ultimi giorni in un bunker costruito sotto la Cancelleria, a Berlino. Il 30 aprile, mentre la città venne occupata dai Sovietici, si suicidò. Pochi giorni dopo la Germania firmava la capitolazione senza condizioni.

La guerra continuò però in Asia, dove il Giappone oppose una determinatissima resistenza. Tra aprile e giugno 1945, tuttavia, gli Americani occuparono l’isola di Okinawa, quella più meridionale dell’arcipelago giapponese. La resistenza continuava. Gli Americani decisero quindi di utilizzare l’arma atomica: un primo ordigno venne fatto esplodere su Hiroshima il 6 agosto; dopo il rifiuto di arrendersi del governo giapponese, venne fatta esplodere un secondo ordigno, a Nagasaki, il 9 agosto.
La guerra si concluse definitivamente il 2 settembre 1945, con la resa giapponese.

martedì 18 maggio 2010

IL CURRICULUM VITAE (concetti teorici) & LETTER OF APPLICATION

di Cuman Manuela

what is a CV? a curriculum vitae or résumé is a documentary record of your education, qualifications and employment history.
when applying for any kind of job you are trying to sell your skills to the employer. the CV is therefore not just a documentary record of your
career to date but also a change to sell yourself.
your CV is your chance and should be as good as you can make it.
how do I write a CV? first think about what makes you a good bet as an employee and what the employer wants. Take a few minutes to plan what you want to write before typing it up.
What writing style should I use?
write in the first person. Stick to the point. an employer wants to identify your key skills and experiences by glancing at your CV.
What to include? a European curriculum vitae has been developed which gives a comprehensive standardized overview of
educational attainments and work experience. the following information should be included.



LETTER OF APPLICATION: when applying for a job, you must include a letter of application with your CV. The purpose of this letter is to:
- make sure the CV arrives on the desk of the appropriate person
- persuade( convincere) the person to read your curriculum
- state the job you are interested in and explain why you want that particular job with that particular company.
The letter is your first introduction, so you should take care that it is planned and presented logically and creates a good impression.

Example of letter:
Via tolstoi 64
20146 milano Applicant’s address
May 5th 2007 Date
The personnel director
SUNTOURS LTD
PO box 795
London NW3 5HD
Inside address
Dear sir/madam Opening salutation
I am writing to apply for the position of tour organiser, which was advertised in La Repubblica on May 3. Source
As you can see from the enclosed CV, I left school five years ago with a diploma from the Istituto Professionale “v.Alfieri” Monza. Qualifications
My first position with central computer srl enabled me to gain invaluable experience in the use of modern office equipment. Previous employment
I have been with my present company, Terrenti & figli, seregno, for 3 years now. In that I have had a lot of experience in dealing with people as well as perfection my secretarial skills. Besides the standard secretarial duties, my work also involves organizing business travel and conferences both in Italy and overseas.
Details of current employment
The main reason I am looking for another position is that I fell the need for a new challenge in my career. Future expectations
As I have to deal increasingly with overseas clients, I have been attending evening classes for the last 2 years in order to improve my English. In addition to this, I can also speak French as I studied it for 3 years at school and have visited France on many occasions.
Relevant skills
With my CV, please find enclosed copies of references from previous employers and my report from the Britannia Language Academy. References to enclousure
I am confident that I have the necessary qualifications and experience for this post and would welcome the opportunity to attend an interview. Request of interview
Yours faithfully Closing salutation
Nadia Cerosa Signature

LA DECOLONIZZAZIONE

di Brizi Fabio

Per decolonizzazione si intende il processo, quasi mai pacifico, attraverso il quale un paese,
occupato stabilmente da un altro ed espropriato per questa via delle proprie risorse e della propria
cultura, si sottrae al dominio dell'occupante e riconquista autonomia e libertà, oppure il paese
occupante procede per un più o meno breve ritiro dall'occupazione stessa.

Dopo la seconda guerra mondiale le potenze europee che avevano costituito i loro imperi coloniali
in Africa e Asia non furono più in grado di mantenerne il controllo, infatti il conflitto mondiale
aveva indebolito i francesi e i britannici che rappresentavano le maggiori potenze coloniali.
Il processo di decolonizzazione durò circa quarant’anni : in alcuni casi l’indipendenza fu raggiunta
per via pacifica, con trattative tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali; un esempio di questo
tipo di decolonizzazione è stata la Gran Bretagna, che avviò gradualmente all’indipendenza le colonie,
trasformando l’impero nel Commonwealth of Nations. In altri casi avvenne per via violenta
con una guerra di liberazione, ed un esempio è la Francia che oppose dura resistenza ai movimenti
di liberazione.
In Africa, per esempio, la decolonizzazione si prolungò per molto tempo, giungendo a compimento
tra gli anni Settanta e Ottanta. Fattore decisivo per lo smantellamento degli imperi coloniali fu la
pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Infatti i due vincitori del secondo conflitto
mondiale erano contrari al colonialismo: gli USA in nome della libertà dei popoli, l’URSS in nome
del comunismo. Entrambe le superpotenze in realtà avevano l’obiettivo di allargare le loro zone
d’influenza e fecero pesare in seguito la loro egemonia economica e politica nei paesi dell’Africa e
dell’Asia. Il principio di autodeterminazione dei popoli ispirò poi le attività dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite. Di fatto l’ONU non riuscì a imporre ovunque il rispetto dei principi di
uguaglianza dei diritti, ma ricoprì comunque un ruolo importante nella lotta al colonialismo.
I paesi colonizzatori rinunciarono al controllo politico delle colonie perché divenne troppo costoso.
Mantennero invece il controllo economico, dando inizio al neocolonialismo. Le ex colonie
conservarono le eredità europee nella cultura e nella lingua, ma non nelle forme di governo: alla
democrazia europea quasi ovunque si sostituì la dittatura militare.

LA SICUREZZA DEL SISTEMA INFORMATIVO AZIENDALE

di De Piano Raffaele

Crittografia

Il problema della sicurezza, divenuto di notevole importanza negli ultimi tempi, ha trovato soluzione nella crittografia, che consiste nell’applicazione di particolari tecniche che permettono di trasformare il messaggio da trasmettere in un testo cifrato, che risulti incomprensibile a chiunque eccetto il legittimo destinatario.
Il processo di trasformazione del testo in chiaro in un testo cifrato viene chiamato criptazione, il processo inverso decrittazione o decifrazione. Entrambi i processi si basano su un codice particolare, detto chiave.

Crittografia a chiave privata
È chiamata anche crittografia tradizionale, perché risale ai tempi di Giulio Cesare. Questo sistema crittografico, chiamato anche simmetrico, utilizza una sola chiave. Il mittente del messaggio lo cripterà con la propria chiave privata e lo invierà al destinatario, che già conosce quella chiave, e che potrà quindi decifrarlo.
Questo sistema di crittografia presenta però alcuni inconvenienti:
1. sia chi invia sia chi riceve conosce la chiave, che quindi diventa fissa e facilmente individuabile;
2. la chiave potrebbe cambiare da messaggio a messaggio ed essere inviata al destinatario, però è necessario che la trasmissione della chiave crittografica avvenga preliminarmente all’invio del messaggio e soprattutto attraverso un canale sicuro;
3. si presenta la necessità di generare un numero molto elevato di chiavi quando il numero dei possibili trasmettitori di messaggi aumenta.


Crittografia a chiave pubblica
La crittografia a chiave pubblica permette di comunicare senza dover ricercare percorsi segreti per trasmettere le chiavi. In questo tipo di crittografia, ad ogni utente vengono assegnate due chiavi, diverse ma complementari: una chiave pubblica ed una privata.
Ogni chiave mette in chiaro il messaggio che l’altra chiave ha codificato, ma il processo non è reversibile: la chiave usata per cifrare un messaggio non può essere utilizzata per decrittarlo. In questo modo, la chiave pubblica può essere disseminata ovunque ed è disponibile all’interno di un apposito archivio on-line, mentre la chiave privata è conservata solo dal suo proprietario.
Per spedire un messaggio ad un determinato soggetto è necessario procurarsi la chiave pubblica e criptare il messaggio con essa; solo il destinatario potrà decifrare il messaggio con la propria chiave privata.

Tecnica mista
Gli inconvenienti della crittografia a chiave pubblica sono:
1. la relativa lentezza delle elaborazioni matematiche nelle operazioni di crittazione/decrittazione rende poco pratica la codifica di messaggi di grandi dimensioni;
2. il possibile vuoto nella cifrazione di alcune strutture dei messaggi rende più facile risalire al testo in chiaro.
Per queste ragioni esistono alcune varianti della crittografia a chiave pubblica che permettono di utilizzarla soltanto per la funzione ridotta dello scambio della chiave simmetrica.
Perché un sistema crittografico sia il più possibile sicuro, le chiavi devono essere numeri veramente casuali, e quindi assolutamente prevedibili.
Questo perché nel caso dell’uso di chiavi simmetriche, affinché non sia possibile decifrare i messaggi successivi di uno stesso mittente, è necessario che egli cambi chiave per ogni nuovo messaggio.

Certificazione
Il solo metodo per prevenire la sostituzione delle chiavi originali con delle chiavi false è di avere in qualche maniera la conferma che la chiave pubblica usata da un utente sia veramente sua.
Una soluzione è quella di conferire a una terza parte affidabile il compito di verificare e certificare le chiavi: si parla dunque di certificazione digitale.
La firma digitale è una ulteriore informazione che viene aggiunta ad un documento informatico al fine di certificarne l’integrità e la provenienza.
Il processo di firma digitale richiede che l’utente effettui una serie di operazioni preliminari:
1. la registrazione dell’utente presso un’autorità di certificazione;
2. la generazione di una coppia di chiavi (una pubblica e una privata);
3. la certificazione della chiave pubblica;
4. la registrazione della chiave privata.
Per apporre la firma si devono effettuare tre operazioni:
1. generazione dell’impronta del documento;
2. generazione della firma mediante cifratura dell’impronta;
3. apposizione della firma al documento.

LA NASCITA DI INTERNET

di Volpe Maurizio Angelo

Nel 1958 il Governo degli Stati Uniti decise di creare un istituto di ricerca. L'istituto venne denominato ARPA (acronimo di Advanced Research Projects Agency) e il suo compito era ambizioso: cercare una soluzione alle problematiche legate alla sicurezza nella rete di comunicazioni.
ARPANET, rete dell’agenzia dei progetti di ricerca avanzata, venne studiata e realizzata nel 1969 dal DARPA, l'agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti responsabile per lo sviluppo di nuove tecnologie ad uso militare. Si tratta della forma per così dire embrionale dalla quale poi nel 1983 nascerà Internet.
Arpanet fu pensata per scopi militari statunitensi durante la Guerra Fredda, ma paradossalmente ne nascerà uno dei più grandi progetti civili: una rete globale che collegherà tutta la Terra.
Per tutti gli anni Settanta ARPAnet continuò a svilupparsi in ambito universitario e governativo, ma dal 1974, con l'avvento dello standard di trasmissione TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol), il progetto della rete prese ad essere denominato Internet.
Il TCP/IP è un insieme di protocolli standard che invia e riceve i dati per la rete, indirizza le richieste e le risposte, gestisce e verifica i flussi di comunicazione. Ogni computer se vuole connettersi deve parlare TCP/IP che permette la connessione bidirezionale fra due nodi. Il TCP (Transmission Control Protocol) è utilizzato per le comunicazioni, suddivide i dati in più pacchetti e verifica che raggiungano la destinazione e li riassembla al nodo ricevente ricostruendo il formato originale.
L IP(internet protocol) impacchetta e indirizza i dati definendone il numero, la rete gestisce il pacchetto e lo invia a destinazione.
È negli anni ottanta, grazie all'avvento dei personal computer, che un primo grande impulso alla diffusione della rete al di fuori degli ambiti più istituzionali e accademici ebbe il suo successo, rendendo di fatto potenzialmente collegabili centinaia di migliaia di utenti. Fu così che gli "utenti" istituzionali e militari cominciarono a rendere partecipi alla rete i membri della comunità scientifica che iniziarono così a scambiarsi informazioni e dati, ma anche messaggi estemporanei ed a coinvolgere, a loro volta, altri "utenti" comuni. Nacque in questo modo, spontaneamente, l'e-mail, la posta elettronica, i primi newsgroup e di fatto una rete: Internet.
Nel 1983 ARPA esaurì il suo scopo: lo stato chiuse l'erogazione di fondi pubblici, la sezione militare si isolò, necessitando di segretezza assoluta a protezione delle proprie informazioni. Con il passare del tempo, l'esercito si disinteressò sempre più del progetto (fino ad abbandonarlo nel 1990), che rimase sotto il pieno controllo delle università, diventando un utile strumento per scambiare le conoscenze scientifiche e per comunicare.
In seguito, nei primi anni novanta, con i primi tentativi di sfruttamento commerciale, grazie a una serie di servizi da essa offerti, ebbe inizio il vero boom di Internet, e negli stessi anni nacque una nuova architettura capace di semplificare enormemente la navigazione: il World Wide Web.
Si tratta di un sistema che permette la condivisione di informazioni utilizzando internet come infrastruttura di comunicazione. È un sistema dinamico, multimediale e flessibile basato su un’architettura client-server che utilizza il protocollo http. Il client-server è un sistema di elaborazione distribuito nel quale le informazioni principali sono registrate nei nodi server mentre i dati sono memorizzati nei nodi client dove servono. Per poter accedere ai dati il client deve fare richiesta al server il quale verifica l’accettabilità della richiesta stessa, le autorizzazioni e individua il luogo dove sono fisicamente memorizzati i dati in questione. L’http (hypertext transfer protocol) è un protocollo che permette di stabilire una connessione tra due computer per scambiarsi pagine ipertestuali basato sul modello client-server è un meccanismo di richiesta/risposta il client esegue una richiesta ed il server restituisce la risposta. Nell'uso comune il client corrisponde al browser ed il server al sito web.
ARPANET fu la prima rete a commutazione di pacchetto del mondo.
La commutazione di pacchetto, ora base dominante della tecnologia usata per il trasferimento di voce e dati in tutto il mondo, era un concetto nuovo e importante nelle telecomunicazioni. Mediante questa tecnica, i messaggi e le informazioni vengono suddivisi in pacchetti di lunghezza fissa e ogni singolo pacchetto diventa un'unità a sé stante, capace di viaggiare sulla rete in modo completamente autonomo. Non è importante che tutti i pacchetti che compongono un determinato messaggio rimangano uniti durante il percorso o arrivino nella sequenza giusta. Le informazioni che essi convogliano al loro interno sono sufficienti per ricostruire, una volta arrivati a destinazione, l'esatto messaggio originale.
La sostanziale differenza con Internet è che quest'ultima si compone di migliaia di singole reti, ciascuna che raccoglie a sua volta un numero più o meno grande di host. Si tratta di un mondo in continua trasformazione, ma nel suo insieme lo spazio Internet è sempre disponibile e la sua esistenza non dipende dall'iniziativa di una singola azienda oppure di un singolo governo.

mercoledì 12 maggio 2010

THE WORLD OF WORK

Di Rocco Palaia.

In the last year the labour market has changed dramatically in all the word.
In the past people had job stability, but little flexibility.
Today the technology had changed the world of work because more people work from home or from distant location.
Permanent long-term jobs are substitutes by short term contracts.
Today the workers want to balance the work and private live and seek a part-time, flexitime or home based work.

venerdì 7 maggio 2010

LE ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA

di Fabio Brizi

IL PARLAMENTO EUROPEO
Il parlamento europeo ha funzioni in materia legislativa e di bilancio, nonché di indirizzo e di controllo politico.
Dal 2007 il Parlamento è formato da 785 deputati, eletti direttamente dai cittadini europei per cinque anni e in numero diverso nei diversi Paesi, in proporzione alla popolazione di ciascun Paese.
All’interno dell’assemblea gli eurodeputati sono divisi in gruppi politici transnazionali e in commissioni parlamentari.
Le votazioni del Parlamento europeo avvengono a maggioranza semplice dei voti espressi o, in alcuni casi, a maggioranza qualificata.
Le funzioni principali del Parlamento riguardano:
- la partecipazione al procedimento legislativo insieme al Consiglio europeo;
- l’approvazione del bilancio comunitario;
- l’attività di indirizzo e controllo politico nei confronti degli altri organismi comunitari.

IL CONSIGLIO EUROPEO
Il Consiglio europeo ha una funzione di impulso e di indirizzo politico, consistente in particolare nell’individuare gli orientamenti e le direttive politiche generali dell’UE.
È costituito dalle riunioni dei Capi di Stato e di Governo, a cui partecipa anche il Presidente della Commissione europea.
Il Consiglio europeo, che deve riunirsi periodicamente almeno due volte ogni semestre, è guidato da un Presidente che, in seguito alla riforma dei trattati, dovrà essere eletto a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo per un periodo di due anni e mezzo.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Il Consiglio dei ministri ha importanti funzioni in materia legislativa e deliberativa.
Il Consiglio è formato da un ministro per ogni Stato membro dell’Unione europea, o da un rappresentante a livello ministeriale, che può variare di volta in volta in relazione all’argomento in discussione.
Il Consiglio dei ministri ha un presidente: in seguito alla riforma dei trattati la presidenza non sarà più attribuita a rotazione a uno Stato membro ogni sei mesi, ma in base ai criteri stabiliti dal Consiglio europeo.
Le decisioni del Consiglio dei ministri possono essere adottate:
- all’unanimità dei voti espressi, cioè non considerando le astensioni;
- a maggioranza semplice oppure, in tutti i casi in cui non è stabilito diversamente, a maggioranza qualificata.
La maggioranza qualificata viene calcolata attraverso un sistema di ponderazione dei voti, in quanto a ogni Stato sono attribuiti un certo numero di voti in base alla sua popolazione: una proposta deve essere approvata da un certo numero di voti che rappresentino un certo numero di Stati. Questo sistema di calcolo è stato semplificato dal Trattato di Lisbona, che ha introdotto un sistema di duplice maggioranza costituita da una certa percentuale degli Stati membri che rappresentino una certa percentuale della popolazione.

COMMISSIONE EUROPEA
La Commissione europea è l’organo con funzioni esecutive e di iniziativa legislativa.
Dal 2004 è formata da un commissario di ciascuno Stato membro, me è previsto che in futuro il numero dei commissari non potrà essere superiore a due terzi del numero degli Stati membri.
I commissari devono operare nell’interesse della Unione e sono indipendenti dai singoli Stati.

LA CORTE DI GIUSTIZIA
È costituita da un giudice per ciascuno Stato membro, in modo da rappresentare tutti i 27 ordinamenti giuridici nazionali dell’UE. Tuttavia, per motivi di efficienza, raramente la Corte si riunisce in seduta plenaria. Di norma, si tratta di riunioni in “grande sezione”, costituita da 13 giudici, o in sezioni di cinque o tre giudici. La Corte si avvale dell’assistenza di otto “avvocati generali”, che hanno il compito di presentare, pubblicamente e con assoluta imparzialità, conclusioni motivate sulle cause sottoposte alla Corte.
I giudici e gli avvocati generali sono personalità d’indubbia imparzialità, in possesso delle qualifiche o della competenza richieste per ricoprire le più alte cariche giurisdizionali nei paesi di origine. Sono nominati alla Corte di giustizia in base ad un accordo congiunto tra i governi degli Stati membri, e rimangono in carica per un periodo rinnovabile di sei anni.
Per coadiuvare la Corte nella gestione del gran numero di cause portate in giudizio e per offrire ai cittadini una maggiore tutela giuridica, è stato creato nel 1988 un “Tribunale di primo grado”. Questo Tribunale, che affianca la Corte di giustizia, è competente per pronunciarsi su determinati tipi di cause, quali azioni promosse da privati cittadini, società e alcune organizzazioni, e su ricorsi inerenti al diritto della concorrenza. Anche questo tribunale è composto da un giudice per ogni Stato membro.
La Corte si pronuncia sui ricorsi e procedimenti ad essa proposti, fra i quali cinque sono le categorie più comuni:
- procedimenti pregiudiziali;
- ricorsi per inadempimento;
- ricorsi di annullamento;
- ricorsi per carenza;
- azione per risarcimento danni.

giovedì 6 maggio 2010

THE TREATIES

Di Mingaj Belina

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mercoledì 5 maggio 2010

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

di Malik Yuliana e Bersanetti Andrea

E’ Il Capo dello Stato e rappresenta la unità nazionale. La nostra Costituzione configura il Presidente della Repubblica come un organo indipendente e imparziale, incaricato di garantire l’osservanza della Costituzione e il rispetto dell’equilibrio tra i poteri dello Stato.

• ELEZIONE
L’elezione del Presidente della Repubblica viene effettuata dal Parlamento in seduta comune, integrato da tre rappresentanti per ogni Regione (a esclusione della Valle d’Aosta che ha un solo delegato) e convocato dal Presidente della Repubblica avviene a scrutinio segreto e risulta eletto colui che ottiene il voto di almeno due terzi dei componenti della assemblea elettiva in uno dei primi tre scrutini o in mancanza, della maggioranza assoluta dei componenti a partire dal quarto scrutinio.

• REQUISITI E DURATA DEL CARICO
Può essere eletto Presidente della Repubblica qualsiasi cittadino italiano che abbia il godimento dei diritti civili e politici e almeno cinquanta anni di età; il Capo dello Stato, la cui carica è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica o privata, rimane in carica sette anni, decorrenti dal giuramento fatto davanti al Parlamento in seduta comune dopo l’elezione, ed è rieleggibile alla scadenza del mandato.

• SUPPLENZA
In caso di impedimento temporaneo o permanente del Capo dello Stato, cioè di una situazione oggettiva che non gli consenta di fatto di svolgere le sue funzioni, la Costituzione prevede la supplenza o sostituzione del Presidente della Repubblica da parte del Presidente del Senato.
Il supplente può compiere solo gli atti urgenti o di ordinaria amministrazione e rimane in carica fino a quando il Capo dello Stato può riprendere a esercitare le sue funzioni (nel caso di un impedimento temporaneo) o fino al giuramento del nuovo del nuovo Capo dello Stato (nel caso di un impedimento definitivo).

• PREROGATIVE
A garanzia della sua indipendenza e autonomia, la Costituzione riconosce al Capo dello Stato alcune prerogative.
Irresponsabilità: il Presidente della Repubblica non è responsabile giuridicamente per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, in quanto la responsabilità di tali atti è assunta dal Governo con la controfirma, salvo che per i reati presidenziale di alto tradimento o di attentato alla Costituzione.
Se si verifica un reato presidenziale il Capo dello Stato viene messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi componenti e viene sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale.
Il presidente della Repubblica è invece responsabile giuridicamente per gli atti privati, cioè per gli atti che compie come privato cittadino.
Inoltre il Presidente della Repubblica è responsabile dal punto di vista politico nei confronti del Parlamento e, indirettamente, dei cittadini.
Tutela penale: il Presidente della Repubblica è tutelato in sede penale, con la previsione di specifici reati che riguardano la lesione fisica o morale della sua persona.
Prerogative economiche: al Presidente della Repubblica sono riconosciuti un assegno personale, come indennità di carica, e una dotazione, che comprende alcune proprietà immobiliari e uno stanziamento annuale in denaro per l’esercizio delle sue funzioni.


ATTI PRESIDENZIALI
Gli atti del capo dello Stato, che assumono la forma di un decreto del Presidente della Repubblica, si distinguono in atti sostanzialmente presidenziali, che sono decisi dal Presidente della Repubblica, e atti solo formalmente presidenziali, che invece sono decisi dal Governo.
I principali atti relativi al potere legislativo sono:
• L’invio di messaggi formali alle Camere su questioni di interesse generale;
• L’indizione delle elezioni e del referendum popolare;
• La convocazione straordinaria delle Camere e o scioglimento anticipato di una o di entrambe le Camere,sentiti i loro Presidenti;
• La promulgazione delle leggi;
• La nomina di cinque senatori.

I principali atti relativi al potere esecutivo sono:
• La nomina del Presidente del Consiglio e,su sua proposta o designazione, dei singoli ministri;
• L’autorizzazione della presentazione dei disegni di legge governativi e della emanazione degli atti normativi del governo;
• La nomina dei funzionari pubblici e l’emanazione degli atti amministrativi nei casi previsti della legge;
• La ratifica dei trattati internazionali e la dichiarazione dello stato di guerra deliberato dal Parlamento;
• Il comando delle forze armate e la presidenza del Consiglio supremo di difesa.

I principali atti relativi al potere giurisdizionale, infine,sono:
• La presidenza del Consiglio superiore della magistratura come organo di “autogoverno” della magistratura;
• La nomina di cinque giudici della Corte costituzionale;
• La concessione della grazia,come provvedimento individuale di clemenza, o la commutazione delle pene nei confronti delle persone condannate.