mercoledì 19 maggio 2010

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

di De Piano Raffaele

Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia, senza peraltro dichiarargli guerra. Quasi contemporaneamente l’Unione Sovietica penetrava in territorio polacco da est.
L’attacco alla Polonia da parte di Germania e Unione Sovietica era stato concordato in un patto segreto siglato poco prima; si trattava, precisamente, delle clausole segrete del Patto Molotov-Ribbentrop, che destò scalpore per il fatto che Germania e Unione Sovietica erano in contrasto per motivi politici. D’altra parte, Hitler in caso di attacco anglo-francese doveva evitare di impegnare il proprio esercito su due fronti, mentre Stalin riteneva di non poter affrontare subito una guerra con la Germania.

A causa dell’evidente impreparazione del suo esercito, al momento dell’attacco alla Polonia Mussolini proclamò la “non belligeranza”. Regno Unito e Francia dichiararono invece guerra alla Germania subito dopo l’evento. Al confine orientale i Francesi avevano da tempo predisposto una linea fortificata di difesa considerata insuperabile, la cosiddetta linea Maginot, ma non ritennero d’altra parte di dover attaccare per primi e così tra il settembre del 1939 e il maggio del 1940 non si combatté, avendo Hitler preferito completare la propria preparazione militare con l’occupazione di Danimarca e Norvegia. È il periodo della cosiddetta drôle de guerre.

Quando Hitler ritenne la Germania pronta alla guerra con le potenze occidentali, puntò ad una manovra di accerchiamento: invase Belgio, Olanda e Lussemburgo violandone la neutralità e puntò verso la costa dell’Atlantico, in modo da bloccare le linee di comunicazione tra Francia e Regno Unito via mare. La manovra ebbe pieno successo: l’unica possibilità che rimase agli anglo-francesi fu il trasfe-
rimento in Inghilterra di centinaia di migliaia di soldati, o
perazione compiuta in 10 giorni a Dunkerque. Il 14 giugno 1940 l’esercito tedesco entrava a Parigi e il maresciallo Pétain, che nel frattempo aveva assunto il potere, firmò l’armistizio il 22 giugno 1940. Nel frattempo la Francia era stata attaccata sulle Alpi dall’Italia, ma l’attacco fallì. Il Paese venne riorganizzato in questo modo:
- tutto il Nord e parte del Centro del Paese venne posto sotto diretta amministrazione tedesca;
- la Francia centro-meridionale rimase formalmente indipendente, sotto il governo collaborazionista di Pétain, con sede a Vichy.

La guerra però non era affatto finita sul fronte occidentale, perché l’Inghilterra non era ancora stata sconfitta. Il governo era passato dalle mani di Chamberlain, responsabile della fallimentare politica di cedimenti di fronte alla Germania hitleriana, a Winston Churchill. Intanto da Londra il generale francese Charles De Gaulle lanciò l’”appello del 18 giugno” per chiamare i suoi concittadini alla lotta contro il nazismo.
Hitler considerava assurda la posizione inglese in quanto riteneva che, essendo Germania e Regno Unito abitati da popolazioni ariane, l’interesse razziale al dominio dell’Europa fosse comune; tuttavia per realizzare i suoi piani non poteva che attaccare, e così fece: tra agosto e ottobre del 1940 si combatté la “battaglia d’Inghilterra”, combattuta esclusivamente dalle due aviazioni. La superiorità inglese risultò netta e fu questa la prima battaglia persa dai Tedeschi nel corso della guerra; i successivi bombardamenti aerei di carattere terroristico sulle città della Gran Bretagna non ebbero l’effetto di piegare il Paese.

La posizione dell’Italia era intanto di forte imbarazzo, visto il fallimento dell’attacco alla Francia, nonostante questo Paese fosse ormai al crollo. Mussolini, nonostante l’evidente impreparazione militare dell’Italia, non voleva condurre una guerra nella logica dei Tedeschi. Questo espose però il Paese al confronto con la marina militare britannica: si andò così incontro ad una serie di insuccessi, che resero ancora più imbarazzante il rapporto con Hitler. Così, quando nel settembre del 1940 attaccò la Grecia non riuscendo però a superare la resistenza ellenica, l’Italia fu costretta a chiedere l’aiuto della Germania, che nell’aprile del 1941, dopo aver schiacciato Jugoslavia e Romania, occupò in due settimane tutta la Grecia, comprese molte isole dell’Egeo.
La posizione dell’Italia diveniva quindi di sempre maggiore dipendenza dai Tedeschi, anche perché la marina militare inglese si stava dimostrando in grado di colpire il Paese in modo grave: nel novembre del 1940 la flotta italiana di stanza a Taranto fu distrutta dagli Inglesi.

Un punto cruciale per la guerra era il Canale di Suez, la porta del Mar Rosso e delle comunicazioni con l’India. Parallelamente all’intervento nei Balcani e in Grecia, Hitler decise quindi di intervenire a fianco dell’Italia, che in quella zona aveva la Libia come propria colonia, nella guerra in Africa, con l’obiettivo di bloccare il Canale di Suez e realizzare le condizioni per il controllo del Mediterraneo.
Nel febbraio del 1941 l’Afrikakorps tedesco venne inviato in Libia a sostegno delle truppe italiane attaccate dagli Inglesi: il confronto vide gli Italiani di Graziani e i Tedeschi di Rommel da una parte, gli Inglesi di Montgomery e i Francesi di De Gaulle dall’altra. La battaglia di El Alamein decretò la sconfitta di Germania e Italia: l’Africa settentrionale restava in mano a Inglesi e Francesi.

La guerra fin qui condotta era quella voluta da Hitler: la Germania aveva conquistato immensi spazi ad est, e ciò gli consentiva di poter sfruttare importanti risorse per una guerra di lungo periodo, quale quella contro Inghilterra e Unione Sovietica. Hitler ritenne di poter affrontare nel 1941 un conflitto contro quest’ultima, oltre che per questo motivo, anche perché riteneva gli Slavi un popolo inferiore, incapace di sostenere il confronto con un esercito ariano.

I problemi principali della guerra con l’Unione Sovietica erano l’immensità del territorio e le condizioni climatiche del Paese. Hitler decise quindi di attaccare all’inizio dell’estate, il 22 giugno 1941, su tre fronti:
- verso nord, dove le armate hitleriane conquistarono rapidamente le Repubbliche baltiche e posero sotto assedio Leningrado;
- verso le regioni centrali, arrivando quasi a raggiungere Mosca;
- verso sud, in direzione di Kiev, che venne conquistata insieme a molti territori ricchi di pozzi petroliferi e altre città industriali.
I Tedeschi furono però troppo poco rapidi. Al sopraggiungere dell’inverno Mosca non era ancora caduta, perciò dovettero subire la controffensiva russa.

Hitler riuscì comunque a lanciare una nuova offensiva verso sud, dove conquistò la Crimea e i territori a est del Volga, fino al Caucaso. Si stava però combattendo una guerra opposta alla guerra-lampo prevista da Hitler, e ciò significava due cose:
- che la resistenza di questi popoli ritenuti inferiori era di gran lunga superiore a quello che Hitler aveva preventivato: l’Unione Sovietica stava sopportando sofferenze immense senza cedere e i Tedeschi non trovarono alcuna forma di collaborazione nella popolazione;
- che la Germania si trovava a combattere su vari fronti (tra il 1941 e il 1942 in Africa e in Russia), cosa che Hitler aveva cercato di evitare.
All’avanzare dell’esercito tedesco i Russi avevano portato al di là degli Urali molti macchinari industriali, cosicché il primo aveva trovato pochissimo di cui impadronirsi.

La battaglia decisiva si combatte lungo il Volga, intorno alla città di Stalingrado. Ebbe inizio nell’estate del 1942 e terminò nel febbraio del 1943. La decisione dei Tedeschi di lanciare un’offensiva in Russia in pieno inverno si rivelò fatale: i Russi riuscirono a rifornire il fronte con uomini e munizioni, in condizioni estremamente rigide, finché l’esercito tedesco si trovò quasi accerchiato, rischiando di non poter essere rifornito. Il generale Von Paulus, che comandava l’armata tedesca, chiese ad Hitler l’autorizzazione a ripiegare, ma egli la negò, ritenendo indegno il ritiro di un’armata ariana di fronte ad una popolazione inferiore. La conseguenza fu la capitolazione di Von Paulus e del suo esercito, avvenuta il 2 febbraio 1943.

Il 14 agosto 1941, dopo che, a causa dell’opinione pubblica sfavorevole, gli Stati Uniti non avevano potuto far altro che finanziare l’Inghilterra senza prendere parte al conflitto, Churchill e Roosevelt sottoscrissero la Carta atlantica, in cui si dichiarava la determinazione a difendere fino alla vittoria il mondo libero e si enunciavano alcuni principi che avrebbero dovuto regolare i rapporti internazionali una volta sconfitto il nazifascismo: autodeterminazione dei popoli, rinuncia ad acquisizioni territoriali mediante conquista militare, libertà dei mari, ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Questi punti chiarirono la linea di comportamento delle potenze alleate, richiamando in alcuni passaggi i 14 punti wilsoniani della Prima guerra mondiale.

La mattina del 7 dicembre 1941 le navi alla fonda del porto statunitense di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, vennero attaccate da aerei militari giapponesi, senza peraltro che vi fosse stata alcuna dichiarazione di guerra. I Giapponesi stavano conducendo una guerra imperialistica, in nome dei valori e dei popoli asiatici contrapposti a quelli occidentali. Quello che rapidamente nacque fu un impero giapponese esteso dalla Birmania all’Indonesia, l’Indocina, le Filippine fino alle ultime isole di fronte all’Australia, che venne direttamente minacciata.
Pochi giorni dopo Pearl Harbor, anche Italia e Germania dichiararono guerra agli Stati Uniti.

La guerra che il Giappone scatenò con l’attacco a Pearl Harbor ebbe due caratteri:
- fu una guerra imperialista;
- fu una guerra antioccidentale a anticolonialista, che mirava a liberare l’Asia e il Pacifico dalla presenza degli Europei e degli Americani.
Al momento dell’entrata in guerra il capo del governo giapponese era il generale Tojo Hideki, che guiderà il paese fino alle dure sconfitte del 1944.

Nel settembre del 1940 il Giappone aveva firmato con la Germania e l’Italia il cosiddetto patto tripartito, un’alleanza politico-militare che durò per tutto il conflitto. Tuttavia, la guerra che il Giappone condusse in Asia non era legata a quella che si svolgeva in Europa: nel momento in cui l’Unione Sovietica subiva la tremenda pressione delle truppe naziste, il Giappone decise di approfittarne per attaccare le colonie occidentali a sud e realizzare così un proprio impero, piuttosto che attaccare l’Unione Sovietica nei territori a nord della Cina contribuendo alla sua caduta.
Gli Stati Uniti, invece, agirono come una potenza planetaria: combatterono infatti nel Pacifico, insieme con alcuni alleati, contro il Giappone e si impegnarono altrettanto a fondo sul teatro di guerra europeo insieme agli Anglo-Francesi, determinando così la futura posizione di superpotenza presente con le proprie forze su tutti i teatri.

La zona in cui l’impegno statunitense fu maggiore fu il Pacifico, dove l’avanzata dei Giapponesi venne contenuta sin dall’estate del 1942. Il primo obiettivo era impedire che cadesse l’Australia: in effetti il governo nipponico abbandonò i piani d’attacco all’isola dopo la sconfitta nella battaglia navale del giugno del 1942 nei pressi delle isole Midway.
Si combatté isola per isola, mese dopo mese, con una continua avanzata americana e una strenua e determinatissima resistenza da parte giapponese. I Giapponesi vennero sconfitti dagli Americani nella battaglia per il controllo dell’isola di Guadalcanal, nell’arcipelago delle Salomone; alla fine del 1943 le forze navali dell’ammiraglio Nimitz attaccarono le isole Marianne, nel Pacifico centrale, e avanzarono occupando isola dopo isola.

I Tedeschi e gli Italiani non riuscirono a contenere l’avanzata americana nel Nord Africa: gli Statunitensi, dopo essere sbarcati in Marocco e Tunisia, occuparono anche la Libia.
Mentre l’aviazione anglo-americana bombardava le principali città italiane, con l’intento non solo di distruggere le installazioni militari, ma di fiaccare il morale della popolazione e indurre alla capitolazione, gli Alleati sbarcarono prima a Pantelleria, poi in Sicilia.
Le forze che occuparono l’isola erano inglesi, americane e canadesi; sbarcarono nella parte sud-orientale incontrando scarsa resistenza, quasi soltanto da parte delle truppe tedesche presenti. Il tutto avvenne tra i primi di luglio e la metà di agosto del 1943. La popolazione siciliana, che non era mai stata fortemente legata al fascismo, accolse favorevolmente le truppe alleate.
A questa data però il fascismo non poteva più contare in Italia sull’appoggio delle masse: i bombardamenti che distruggevano le città, l’evidente impreparazione dell’esercito, la situazione drammatica a cui il regime aveva portato il Paese avevano già prodotto nella primavera precedente i primi scioperi nelle zone industriali del Nord.

Il Gran Consiglio del fascismo si riunì a Roma nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, proponendo il reintegro del re nelle sue prerogative costituzionali. La mattina successiva Mussolini venne ricevuto da Vittorio Emanuele III, che lo destituì dall’incarico di capo del governo e lo fece arrestare. Nominò poi al suo posto il maresciallo Badoglio.

Il re, con la decisione di eliminare dalla scena politica Mussolini, aveva come obiettivo quello di garantire la continuità dell’istituto monarchico.
Mentre già cercava una via per trattare con gli Anglo-Americani, Badoglio tuttavia dichiarò che la guerra continuava, perché temeva moltissimo la reazione tedesca alla caduta di Mussolini.
L’8 settembre 1943 il Paese venne occupato dai Tedeschi: gli Americani avevano rivelato poche ore prima che il 3 settembre l’Italia aveva sottoscritto l’armistizio in un paese della Sicilia orientale, Cassibile. I Tedeschi non ebbero alcuna difficoltà a prendere possesso dell’intera penisola, a parte la Sicilia occupata dagli Alleati. Un numero enorme di soldati italiani trovarono la morte per mano tedesca (alcuni fatti gravissimi avvennero in Grecia, a Cefalonia) o vennero deportati in Germania.

La mattina del 9 settembre il re e il governo fuggirono da Roma senza prendere alcuna misura per la sua difesa, rifugiandosi prima a Pescara, poi a Brindisi, ponendosi sotto protezione Alleata (gli Alleati erano sbarcati lì da poco). I Tedeschi immediatamente occuparono Roma, dove incontrarono non solo una ferma reazione spontanea da parte di alcuni reparti italiani, ma anche l’ostilità durissima della popolazione. Ogni opposizione venne però travolta. La resistenza italiana contro il nazismo si manifestò in modo palese; e fu resistenza spontanea e popolare, nella totale assenza del governo e della monarchia.
L’Italia era adesso occupata da un esercito di cui fino al giorno prima era alleata, mentre il suo governo era sotto la protezione di un altro esercito che fino al giorno prima era nemico.
Il 12 settembre i Tedeschi liberarono Mussolini che era stato portato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, e nei giorni successivi si ricostituì un governo fascista, con sede a Salò, sul lago di Garda: nacque così la Repubblica Sociale Italiana, o Repubblica di Salò. A questo punto, la guerra in Italia assunse due volti diversi:
- fu una guerra combattuta da Italiani presenti sui due fronti: il Regno d’Italia appoggiò gli Alleati, mentre la Repubblica di Salò appoggiò i Tedeschi;
- fu una guerra civile, perché contrappose Italiani a Italiani.

Nel settembre del 1943 gli Alleati sbarcarono nel golfo di Salerno, mentre Napoli insorgeva contro i nazifascisti liberandosi prima del loro arrivo. Il fronte rimase fermo per mesi a sud di Roma, e i combattimenti si concentrarono nella zona di Cassino. La liberazione di Roma avvenne il 4 giugno 1944, ma la guerra continuò nel Nord lungo quella che i Tedeschi chiamarono la “linea gotica” fino alla primavera del 1945.
La guerra ebbe poi termine in Italia intorno al 25 aprile 1945. Mentre cercava di fuggire in Germania, Mussolini venne arrestato dai partigiani e fucilato.

Il 6 giugno 1944 gli Americani sbarcarono in Normandia. Già ad agosto Parigi venne liberata. In quelle stesse settimane, i Sovietici attaccarono nella direzione della Polonia, avanzando di settimana in settimana. Nell’aprile del 1945 la Germania era ormai quasi interamente occupata e distrutta, ma si combatteva ancora strada per strada nelle città.
Hitler passò i suoi ultimi giorni in un bunker costruito sotto la Cancelleria, a Berlino. Il 30 aprile, mentre la città venne occupata dai Sovietici, si suicidò. Pochi giorni dopo la Germania firmava la capitolazione senza condizioni.

La guerra continuò però in Asia, dove il Giappone oppose una determinatissima resistenza. Tra aprile e giugno 1945, tuttavia, gli Americani occuparono l’isola di Okinawa, quella più meridionale dell’arcipelago giapponese. La resistenza continuava. Gli Americani decisero quindi di utilizzare l’arma atomica: un primo ordigno venne fatto esplodere su Hiroshima il 6 agosto; dopo il rifiuto di arrendersi del governo giapponese, venne fatta esplodere un secondo ordigno, a Nagasaki, il 9 agosto.
La guerra si concluse definitivamente il 2 settembre 1945, con la resa giapponese.

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