giovedì 27 maggio 2010

LA CRISI DEL DOPOGUERRA E IL REGIME FASCISTA IN ITALIA

DI MINGAJ BELINA E BERSANETTI ANDREA

L’ITALIA E I TRATTATI DEL 1919: QUESTIONI RISOLTE E APERTE

Nel corso delle trattative di pace di Parigi, la delegazione italiana guidata dal capo del governo Vittorio Emanale Orlando abbandonò il tavolo negoziale, come strumento di pressione sugli alleati che non intendevano venire incontro alle sue richieste riguardo i territori contesi tra l’Italia e la nascente Jugoslavia. Ma il gesto non ebbe l’effetto sperato, e Orlando dovette tornare al tavolo delle trattative e accettare le scelte dei governi alleati: l’Italia ottenne la Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige, alcune isole nell’Adriatico e nell’Egeo; non ottenne la Dalmazia, mentre la questione di Trieste rimase in sospeso. La reazione in patria fu molto negativa a causa delle agitazioni dei nazionalisti, che crearono quello che gli storici chiamano”il mito della vittoria mutilata”. L’opinione pubblica era certamente influenzata dai nazionalisti, ma la ragione del disagio sociale era diversa: milioni di uomini tornati dal fronte non riuscivano facilmente a reinserirsi nella vita civile, dopo anni di vita mutilata; la disoccupazione era molto alta e l’economia ristagnava o regrediva, anche perché l’industria bellica si stava riconvertendo alla produzione civile ed erano frequenti i licenziamenti. Le tensioni sociali davano vita e scioperi, disordini nelle campagne e nelle fabbriche, e a una conflittualità sia spontanea che organizzata. Nulla di tutto questo era una realtà specificamente italiana: fenomeni di questa natura si andavano verificando un po’ in tutta Europa.

MUSSOLINI “IL POPOLO D’ITALIA” & LA NASCITA DEL PARTITO FASCISTA
In questo clima caratterizzato dal nazionalismo alimentato dal mito della vittoria mutilata e dal disagio sociale, nel marzo del 1919 Benito Mussolini – ancora direttore del “Popolo d’Italia” a Milano – fondò i Fasci di combattimento, un’organizzazione politica che anni dopo avrebbe assunto la struttura di un partito, il cui programma era un misto di elementi populisti, nazionalisti e socialisti. Alla fine dell’anno presentatosi alle elezioni politiche, il movimento non ebbe successo.
Alcuni degli aderenti, come lo stesso Mussolini, provenivano dalle fila del socialismo massimalista ed erano passati attraverso l’esperienza della guerra e dell’adesione a un nazionalismo radicale.

LE ELEZIONI DEL 1919: SOCIALISTI, LIBERALI E PARTITO POPOLARE

Le elezioni politiche del 1919 avevano visto la netta affermazione di una nuova forza politica, il Partito popolare di don Luigi Sturzo, espressione delle forze e della cultura cattolica, che aveva ottenuto oltre il 20% dei consensi. Aveva anche avuto successo il Partito socialista, con il 32% dei voti. Il nuovo Parlamento era però caratterizzato dall’assenza di una solida maggioranza, non avendo più i liberali giolittiani ottenuto consensi tali da consentire loro di guidare il Paese. Cominciava dunque a entrare in crisi lo Stato liberale, perché stava entrando in crisi la sua istituzione fondamentale, il Parlamento, diviso e incapace di esprimere una stabile maggioranza. Negli anni successivi si susseguiranno una serie di governi tutti caratterizzati da instabilità e debolezza.

IL BIENNIO 1919 – 1921

In un clima politico burrascoso, fortemente segnato da agitazioni sociali, Gabriele D’Annunzio diede il via a un’avventura politico – militare - concepita in stile “dannunziano” e quindi con forti caratteri retorici ed estetici – con l’occupazione della città di Fiume, contesa tra l’Italia e la Jugoslavia. Ne seguì per alcuni mesi un riacutizzarsi delle difficoltà internazionali dell’Italia, poi risolte da Giolitti, tornato a capo del governo, con la firma del Trattato di Rapallo che definiva il confine italo – jugoslavo.
Il biennio 1919 – 1921 fu caratterizzato da movimenti politici e sociali radicali. Nell’estate del 1920 frange estreme del sindacato e della sinistra tentarono con l’occupazione delle fabbriche del Nord di dare una spallata al sistema capitalistico italiano, ma l’operazione non ebbe successo. Ne approfittarono i fascisti, che si contraddistinsero per una lunga serie di violenze squadriste, tollerate (o addirittura ben viste) dalla polizia. Stava intanto nascendo, soprattutto in Emilia Romagna, un fascismo agrario che aveva caratteristiche simili a quello milanese e che riconosceva in Mussolini il so leader. Due gli eventi politici fondamentali:
- al Congresso di Livorno del 1921, da una scissione del Partito socialista nacque il Partito comunista italiano;
- alle elezioni politiche del 1921 Mussolini e altri fascisti furono eletti in Parlamento nelle liste dei liberali giolittiani.

IL MINISTERO FACTA, IL RE E LA "MARCIA SU ROMA"

Nel corso del 1922 le difficoltà politiche si accrebbero, anche perché il parlamento eletto risultò ancora più frammentato dei precedenti. I governi si succedettero incapaci di affrontare la crisi sociale, finchè alla fine del 1922 Mussolini organizzò una delle sue squadre fasciste.l Aveva nel frattempo abbandonato alcuni tratti del suo programma sgraditi alla borghesia, aveva espressamente accettato la monarchia e si era legato agli industriali e ai grandi agrari.
Benché il governo avesse proposto a Vittorio Emanuele III la proclamazione dello stato d’assedio,che avrebbe permesso all’esercito di intervenire, il re rifiutò, consentendo alle squadre di Mussolini di entrare a Roma e affidando a Mussolini stesso l’incarico di formare il nuovo governo.

MUSSOLINI AL GOVERNO E IL CASO MATTEOTI

Il nuovo governo era formato soltanto n parte dai fascisti e comprendeva anche personalità liberali come il filosofo Giovanni Gentile,il quale fece approvare la celebra riforma della scuola che da lui prese il nome. Aveva comunque inizio il ventennio fascista,perché il governo cominciò a condurre una politica caratterizzata dall’applicazione del programma fascista,compreso un attacco sempre più duro delle forze di sinistra e sindacali.
Le elezioni del 192 videro la vittoria di Mussolini, e la denuncia di brogli da parte di un deputato socialista,Giacomo Matteotti,portò al su assassinio .La reazione negativa dell’opinione pubblica a un fatto cosi grave creò un momento difficile per il fascismo, ma Mussolini reagì all’inizio del 1925 liquidando ogni opposizione,esautorando di fatto il Parlamento e instaurando una dittatura.

IL REGIME FASCISTA

A partire dal 1925 furono sistematicamente smantellate le istituzioni dello stato liberale, compreso lo stesso Parlamento, venne svuotato di significato lo Statuto albertino (la costituzione italiana allora in vigore)e vennero create le istituzioni di uno Stato di tipo nuovo,lo stato fascista. Il coronamento di questa politica,che non lasciò spazio ad alcuna forma di opposizione, fu la firma dei Patti lateranensi, con i quali si chiudeva il lungo conflitto tra lo stato italiano e la Santa sede.

LA POLITICA ECONOMICA E SOCIALE DEL FASCISMO

La politica economica del fascismo venne strutturata dopo il 1929,in modo da poter ridurre nel Paese l’impatto della crisi internazionale: le principali banche, proprietarie di strutture industriali in pericolo immediato di fallimento, vennero nazionalizzate e poste sotto il controllo di un ente, l’istituto per la ricostruzione aziendale IRI che ne garantisce il salvataggio. Negli anni successivi Mussolini dovette compiere la scelta dell’autarchia, perché il regime era stato colpito da sanzioni internazionali. Intanto si impegnava nella realizzazione di grandi opere pubbliche, come le ormai indifferibili bonifiche.
La politica sociale del fascismo era tutta volta a ottenere consenso e a esaltare il ruolo della famiglia. Molta attenzione venne dedicata all’educazione fascista dei giovani, con organizzazioni specifiche e un controllo totale sulla scuola.

1 commento:


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